C'è una questione che negli ultimi giorni sta assumendo la fisionomia di un vero e proprio "caso". Tra le pieghe della bozza di riforma del lavoro del ministro Fornero sembrava per un attimo spuntata anche la questione "dipendenti statali", con tanto di plauso di parte della politica e contemporanea immediata levata di scudi dei Sindacati. La confusione delle prime ore, la successiva smentita e le tante dichiarazioni registrate da agenzie ed organi di stampa avevano poi contribuito ad aumentare la "nebbia" intorno alla questione, costringendo a clamorosi scivoloni finanche autorevoli analisti e rispettabilissime testate. In questo breve lasso di tempo i "riformisti ante – litteram" si erano letteralmente scatenati, cominciando con la solita filippica contro i dipendenti pubblici, i parassiti dello Stato ed i fannulloni di brunettiana memoria. Paradossalmente la maggiore virulenza nei confronti dei pericolosissimi (per lo Stato, per la morale, per la tenuta del sistema sociale) dipendenti pubblici arrivava proprio dagli ambienti politici e dai media vicini all'area di centrosinistra. Giornalisti, analisti e politici pronti a riesumare la retorica ed il populismo del peggiore (o migliore, dipende dal grado di "riformismo del quale siamo pervasi") Brunetta. Giornalisti, analisti e politici ai quali ci piacerebbe porre però qualche stringata domanda, sia chiaro non per puro spirito polemico, ma solo per districarci tra propaganda e confusione, tra faziosità e distorsioni interessate. Anche in considerazione delle ultime dichiarazioni da parte del Governo che confermano che l'articolo 18 resterà invariato per i dipendenti statali, peraltro non contribuendo a fare chiarezza sul tema, dal momento che, per quanto paradossale sembri, come ci ricorda un editorale su lavoce.info:
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si applica senza nessun dubbio al rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, sicché, di conseguenza, è inevitabile che si estenda a tali dipendenti la riforma avviata dal ministro Fornero, a meno che non si introduca una specifica deroga. […] Per tutti, si può citare la sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro 1 febbraio 2007, n. 2233, che ha considerato espressamente applicabile l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non solo ai dipendenti, ma anche ai dirigenti pubblici (mentre nel privato la dirigenza è esclusa dalla tutela della reintegrazione).
Licenziare gli statali senza giustificato motivo? – Qualcuno ricorda ancora che l'articolo 18 tutela i lavoratori da licenziamenti senza giustificato motivo? E cosa potrebbe portare a licenziare un dipendente statale senza giustificato motivo e a non riassumerlo dopo un'eventuale sentenza del giudice competente? Sia chiaro, il discorso, almeno per chi scrive, resta immutato anche nel caso di lavoratori dipendenti della sfera privata, ma pur ammettendo l'esistenza di "problematiche particolari", davvero non si capisce come lorsignori immaginano possa avvenire nella pratica un licenziamento di uno statale (fatte salve le procedure già esistenti, compresa quella molto controversa per ragioni di carattere finanziario). In sostanza, sarà un altro dipendente statale ad accollarsi l'onere e la responsabilità di un licenziamento? O sarà uno dei "nominati" politici all'interno degli enti territoriali? E con quali ragioni, poi, dal momento che l'applicazione sistematica alla sfera del pubblico delle "motivazioni di carattere economico" diventerebbe senza dubbio materia di interminabili controversie giuridico – sindacali. In sostanza e fatto salvo l'equivoco di base sull'intoccabilità del "posto a vita" per gli statali (che tecnicamente e concettualmente non ha motivo di esistere), è necessario riflettere sulla faziosità e strumentalità della rappresentazione di una "disparità evidente" tra pubblico e privato. Da una parte i parassitari, indolenti ed incapaci fannulloni della pubblica amministrazione, dall'altra i vessati e tartassati dipendenti privati: un dualismo che non solo non ha alcuna corrispondenza "effettiva", ma che serve sostanzialmente a sviare l'attenzione da temi centrali e certamente ben più rilevanti. Il più banale ma sempre efficace fra gli stratagemmi "di controllo", in ossequio al divide et impera e con la speranza che la nuova guerra fra poveri almeno serva a sfilacciare il Paese, ad aumentare distanze e paure, a fiaccare ogni istanza di cambiamento radicale…