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Petrolio, deflazione e Grecia: le incognite non cambiano

Petrolio, deflazione, uscita della Grecia dall’euro (e conseguenti riflessi su tassi e cambi): le variabili che condizionano i mercati e l’economia reale dell’Europa e dell’Italia non variano anche in questo primo scorcio di 2015…
A cura di Luca Spoldi
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Il petrolio danza nuovamente attorno ai 50 dollari al barile e la benzina alla pompa in Italia scivola su un prezzo medio di 1,574 euro al litro, nonostante un euro ai minimi degli ultimi 9 anni contro dollaro dal 2010 a 1,198 dollari per 1 euro, anche grazie al rinvio, per ora, del previsto incremento di altri 3 centesimi al litro delle accise sui carburanti previsto da inizio gennaio (rinvio che ha finito peraltro col complicare ulteriormente il quadro previsivo delle entrate fiscali italiane, come già ricordato). E’ il primo e più immediato effetto benefico della prolungata debolezza delle quotazioni del greggio, che però rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio. Se da un lato, come ricordano anche gli analisti di Ubs, per ogni calo di 10 dollari al barile del prezzo del greggio si può stimare un impatto positivo pari allo 0,2% in termini di maggiore crescita del Pil mondiale, per contro il calo delle quotazioni dei prodotti energetici produce una deflazione che per quanto benefica contribuisce a raffreddare complessivamente l’indice dei prezzi al consumo in Europa, dove già ora i prezzi stanno ovunque registrando gli incrementi minimi degli ultimi anni.

Se in Germania a dicembre i prezzi sono aumentati dello 0,2% su base annua, in Spagna sempre a fine 2014 i prezzi sono risultati in calo dell’1,1% rispetto a dodici mesi prima e in Italia (a fine novembre) l’inflazione acquisita per il 2014 è scesa allo 0,2%, ma il rischio, concreto, è che l’ulteriore discesa dei prezzi petroliferi segnata nell’ultimo mese dell’anno abbia portato ad un dato finale ancora più modesto. Se i consumatori sorridono, perché prezzi petroliferi più bassi si possono tradurre in costi di trasporto inferiori, in una bolletta energetica più leggera e in qualche sconto in più anche sui generi di consumo, il rischio deflazione potrebbe portare Mario Draghi a rompere gli indugi e ad annunciare già a fine mese il via libera ad un’estensione dei programmi di acquisto di asset sul mercato da parte della Bce anche ai titoli di stato, tanto più che finora di Abs e di covered bond ne sono stati comprati decisamente pochi e che di credito alle banche tramite le due aste Tltro ne è arrivato meno di quanto si prevedesse.

A quel punto ci si ritroverebbe nella condizione di un modesto incremento dei redditi reali (posto che la pressione fiscale non cresca ulteriormente, cosa non così scontata) e di un ulteriore allentamento delle condizioni di finanziamento a banche e imprese. Non sarà però ovunque la stessa cosa visto che la deflazione fa comunque risalire i tassi reali che resteranno dunque più elevati in Spagna e in Italia che non in Germania. Tenuto conto dell’inflazione/deflazione già stasera un titolo di stato a 10 anni “costa” all’emittente il 2,6% lordo annuo alla Spagna, l’1,56% all’Italia e appena lo 0,3% alla Germania: indovinate dunque chi potrà registrare una ripresa più solida, anche e soprattutto tenuto conto che il crollo delle quotazioni delle materie prime (non solo petrolifere) sta rallentando la crescita (nel caso della Russia amplificando la recessione) di molti paesi emergenti che rappresentano importanti mercati di sbocco delle imprese europee ed italiane.

In uno scenario molto “liquido” dovrebbero dunque avvantaggiarsi quelle imprese in grado di conquistare quote di mercato negli Stati Uniti (come Fiat Chrysler Automobiles, che ha appena chiuso il 2014 superando i 2 milioni di veicoli venduti, con un incremento medio del 14% rispetto a fine 2013 ovvero del 20% su base annua nel solo mese di dicembre, anche se le “piccole” vetture come la Fiat 500 continuano a piacere poco e a correre sono soprattutto i Suv di Chrysler) o nel Nord Europa (in particolare in Germania, paese che rappresenta il secondo mercato per il gruppo Unicredit). Rischiano nuove difficoltà quelle imprese che restano radicate solo in Italia o che erano riuscite a trovare un mercato di sbocco nel Sud Europa e in aree come l’America Latina o l’Est Europa (ma anche, in parte, in Asia).

Anche per costoro sarà importante vedere cosa farà nel concreto la Bce, perché già ora l’euro debole sta dando una mano forse persino inattesa, ma con l’ipotesi di una “Grexit” (l’uscita della Grecia dall’euro) che sembra tornare d’attualità secondo la stampa tedesca, il dollaro potrebbe ulteriormente rafforzarsi, indirettamente dando una mano all’export del vecchio continente. L’Handelsblatt ad esempio sostiene che il governo di Berlino non si straccerebbe le vesti se Atene salutasse la valuta unica, perchè il "rischio contagio" è giudicato limitato dato che Irlanda e Portogallo sono sostanzialmente risanate e la Spagna (e l'Italia) dovrebbero tenere. Il re è nudo e la Grecia potrebbe essere lasciata al suo destino, ma non si deve ancora dirlo apertamente (o si rischia di alimentare la speculazione contro "l'elefante nella cristalleria", ossia l'Italia), così la cancelliera Angela Merkel ha già smentito questa interpretazione ribadendo che Atene dovrà comunque rispettare gli impegni presi con la “troika” Ue-Bce-Fmi che le ha prestato finora 240 miliardi di euro.

Le incertezze sulla tenuta della crescita mondiale e il calo delle quotazioni petrolifere mentre sostengono (entrambi) la corsa del dollaro continuano anche col penalizzare i titoli petroliferi e in generale quelli del settore energetico (perché con quotazioni così basse da un lato i produttori di shale oil come Continental Resources e Halliburton stanno già tagliando i budget per il 2015 e iniziando a lasciare a casa alcune centinaia/migliaia di tecnici e operai, dall’altro perché le energie alternative sono sempre meno appetibili con quotazioni che rischiano di mantenersi attorno o sotto i 60 dollari al barile almeno per i prossimi 3-6 mesi).

Così a Piazza Affari oggi i peggiori sono stati Eni (-8,16%), Enel (-6,14%) e Saipem (-4,78%), insieme ai titoli finanziari come Unicredit (-6,62%), Intesa Sanpaolo (-5,95%) o Ubi Banca (-5,83%), tutti titoli “sensibili” alla crisi greca (e ai correlati movimenti di spread e tassi), a quella dell’Est Europa e alla crisi petrolifera: tre crisi che sempre più appaiono tre facce di uno stesso dado in grado di influenzare pesantemente anche il 2015 dopo aver condizionato l’andamento dei mercati finanziari e dell’economia reale nel 2014. Se avevate pensato che il nuovo anno portasse pace e serenità e consentisse di lasciarsi alle spalle l’incertezza di questi ultimi anni mi sa che dobbiate avere ancora un poco di pazienza, la sensazione è tuttavia che sarà per alcuni un anno molto interessante, per altri ancora un anno da passare in trincea.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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