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Opinioni

Persino Dublino trova il modo di uscire dalla crisi: e l’Italia?

E’ tutta colpa dell’euro se l’Italia non risce più a crescere? A giudicare dall’Irlanda, che ha visto il proprio rating appena promosso da Fitch proprio per i segnali di recupero dell’economia non si direbbe. Forse occorrerebbe studiare il successo persino di paesi come Slovenia e Croazia e farsi qualche domanda…
A cura di Luca Spoldi
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Tutta colpa dell’euro se l’Italia soffre e stenta a ripartire, per non dire che rischia di andare di nuovo a fondo? Non si direbbe a giudicare da quanto accade in Irlanda, “allieva prediletta” della troika Bce-Ue-Fmi che oggi vede il rating sovrano riportato dall’agenzia Fitch a “A-” dal precedente “BBB+” grazie ai segnali di ripresa della crescita economica. Quella stessa crescita che l’Italia non vede in modo reale e tangibile, al di là delle statistiche, da oltre un quindicennio. Ci si dovrebbe interrogare su come mai gli italiani non riescano a utilizzare l’euro per ripartire quando la stessa valuta, con gli stessi pregi e difetti,  non impedisce la ripresa di Dublino proprio mentre anche la Germania si “italianizzaperdendo colpi, lei che l’euro “forte” ha voluto più di chiunque altro e che ora, sotto sotto, deve sperare che l’euro non sia poi più così forte per non pesare ulteriormente sulle esportazioni tedesche, finora unico vero motore della crescita di quella che è sempre stata considerata la “locomotiva d’Europa” ma che la crisi russo-ucraina e qualche concessione sul fronte salariale hanno finito col far fortemente rallentare.

Nel frattempo Dublino sta uscendo dal collasso immobiliare seguito ad un boom decennale del mattone a sua volta generato dall’afflusso di “denaro facile” che una politica fiscale a dir poco “concorrenziale” aveva convogliato verso la repubblica verde, gli economisti scommettono su una crescita del Pil del 3,5% in termini reali a fine 2014, il mercato sembra fidarsi e fa scendere il rendimento sul decennale irlandese all’1,97% con uno spread contro Bund tedesco inferiore all’1%, quando il Btp decennale italiano pur continuando a godere dei favori degli investitori non riesce a scendere sotto il 2,577% (che pure rappresenta il minimo dal 1993), circa l’1,63% più del decennale di Berlino, con gli analisti di molte case d’investimento che pensano che il rally sia ormai agli sgoccioli e, semmai, i tassi possano risalire nel prossimo futuro anche in presenza di uno spread stabile o in ulteriore lieve calo. Merito delle riforme che Dublino ha varato e Roma dice sempre di voler varare ma di fatto non vara mai, stretta tra gli interessi di pochi (grandi imprenditori, sindacati, politici vicini all'uno o agli altri) e il disagio di molti (lavoratori autonomi e giovani)?

Chissà, di certo tassi (e spread) finiscono col riverberarsi in un maggior costo del credito per le aziende italiane, almeno per quelle che ancora lo chiedono visto che tra credit crunch che ancora prosegue e domanda interna sempre ai minimi termini di aziende pronte a investire in Italia ce ne sono sempre meno. Peccato, perché per chi sa come (e in cosa) investire possono ancora esistere buoni spazi di crescita anche in settori che vedevano un tempo il “bel paese” in testa alle classifiche mondiali, come il turismo e la ristorazione. Ora invece l’Italia deve da un lato guardarsi dal “ritorno in auge” di paesi come la Francia o la Spagna che possono offrire dalle grandi città ricche di attrazioni (Parigi, Madrid, Barcellona) ai soggiorni al mare o in montagna, dai percorsi storici a quelli enogastronomici, dall’altro dalla concorrenza sempre più marcata dell’Europa dell’Est, in cui paesi confinanti come Slovenia o Croazia stanno costruendosi una solida posizione sul mercato turistico mondiale grazie ad un’offerta variegata e direi anche ben “mirata”.

In Slovenia, ad esempio, si risente maggiormente dell’influsso austro-ungarico, si offrono bellezze paesaggistiche (sono appena stato a vedere le grotte di Postunia e non posso che consigliarle caldamente a chiunque) a quelle storico-artistiche, con la capacità di creare locali e “movide” anche in città relativamente piccole come Lubiana o Maribor (ormai affermata località del turismo invernale). Più mirata ad un pubblico nazional-popolare l’offerta turistica croata (almeno per quanto riguarda la costiera adriatica, ormai in grado di intercettare flussi importanti di turisti tedeschi ma anche francesi, olandesi e italiani, oltre che dell’Est Europa), che però sta rapidamente recuperando il tempo perso (suo malgrado) a causa della guerra degli anni Novanta. In entrambi i paesi i collegamenti wi-fi gratuiti sono la norma, i prezzi di pub, ristoranti e alberghi relativamente a buon mercato e comunque concorrenziali rispetto agli omologhi italiani, la benzina (su cui non gravano tutte le accise che vi vengono caricate in Italia) costa attorno agli 1,4 euro al litro, i parcheggi offrono solitamente i primi 15 minuti gratuiti, commercianti e camerieri sono cordiali e conoscono sempre almeno l’inglese e il tedesco oltre alla propria lingua madre (e/o al russo).

In Italia quanti sono i ragazzi pronti a fare per una stagione il cameriere che sanno parlare correttamente almeno due se non tre lingue straniere? Quanti sono i ristoratori che aggiungono specialità giapponesi, francesi e tedesche nel loro menù a fianco dei piatti tipici nazionali, così da invogliare turisti in arrivo da questi paesi a fermarsi e ordinare? Notare che non sto parlando di ristoranti specializzati in queste cucine, ma di semplici pub, osterie e ristoranti, i cui prezzi restano comunque ad un livello abbordabile (un primo piatto attorno ai 6-8 euro, un secondo sui 10-15 euro). Quanto alla valuta che dire: la Slovenia sta nell’euro come l’Italia e non sembra soffrirne, la Croazia non ha l’euro ma sembra non veda l’ora di averlo visto che buona parte dei prezzi (ad esempio nel caso di alberghi e ristoranti, ma anche dei distributori di benzina) sono espressi sia nella valuta locale (la kuna) sia in euro (che vale circa 7,267 kune, ma quante kune otterrete quando cambierete i vostri euro dipende dal singolo operatore che vi fa il cambio in quel momento). L’euro forse non aiuta particolarmente l’Italia, ma se devo trarre qualche conclusione da ciò che osservo ogni volta che per lavoro o anche solo per qualche giorno di ferie mi reco all’estero direi che l’Italia soffra di ben altri problemi cui dovrà dare una risposta molto prima di porsi la domanda se ha senso o meno rimanere nell’euro.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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