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Perché Nicola Lagioia ha vinto lo Strega 2015

Nicola Lagioia ha vinto il premio Strega. Al di là della considerazione che un’altra volta è stata una major a vincere, esploriamo il valore de La Ferocia, un libro molto ricco e frutto di un lavoro di costruzione complesso, che ha indubbi talenti e, a prescindere dai difetti di stile talora evidenti, ma non pregnanti nella valutazione dell’insieme, merita tutto il successo che ha avuto e va letto.
A cura di Luca Marangolo
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©Cosima Scavolini/Lapresse19-05-2008 RomaCulturaPresentazione del Festival delle LetteratureNella foto Nicola Lagioia©Cosima Scavolini/Lapresse19-05-2008 RomePress conference for the Festival delle LetteratureIn the photo Nicola Lagioia
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19-05-2008 Roma
Cultura
Presentazione del Festival delle Letterature
Nella foto Nicola Lagioia
©Cosima Scavolini/Lapresse
19-05-2008 Rome
Press conference for the Festival delle Letterature
In the photo Nicola Lagioia

Ci sono varie considerazioni  da fare  a caldo, dopo l'annuncio del vincitore del Premio Strega 2015, Nicola Lagioia. La prima d’obbligo è che neanche quest’anno abbiamo avuto l’opportunità di vedere un piccolo editore sullo scranno più alto del premio più famoso ma compromesso d’Italia. È fin troppo ovvia l’osservazione che, per quanto auspicabile, tale eventualità non può influire su effettive  considerazioni sia sul premio sia sulla qualità del testo vincitore: non rimane che sperare in un radicale cambiamento verso la trasparenza ravvisabile solo nel tempo.

I cinque contendenti, d’altronde, avevano tutti il loro valore. Dall’erudizione di Santagata messa a disposizione di un testo immaginifico e penetrante, alla ormai consolidata certezza del talento eminentemente affabulatorio, narrativo della Ferrante, che è il vero segreto del suo successo. Anche  Genovesi non è uno scrittore da sottovalutare (vincitore del premio Strega giovani) e Covacich nei suoi racconti fonde finzione e documento in modo esemplare.

E allora, perché ha vinto Lagioia?  Anche quest'anno i maligni forse risponderebbero cose fuori luogo come “perché quest’anno era il turno di Einaudi”, ma noi, che non conosciamo nulla di queste logiche occulte e che non lo sapremo mai, siamo assolutamente certi che il libro di Lagioia ha vinto perché è effettivamente un libro narrativamente molto solido, che costruisce e spazia in modo abile nella mente di più personaggi: a cominciare dai due fratelli il cui legame affettivo è l’asse portante del sistema etico messo in piedi dal romanzo, alle parti in cui Lagioia si sofferma sul rapporto disfunzionale fra il padre di Famiglia Vittorio, e il figlio Ruggero, più in generale l’indagine quasi, diremmo, mitopoietica della ferocia –appunto- portata con sé dalla ricchezza e dall’accesso al mondo della borghesia in una cultura profondamente poco borghese come quella del Sud Italia e della Puglia da cui proviene la famiglia Salvemini.

Forse, allora, il libro di Lagioia ha vinto perché ha risposto nel modo migliore e più immediato alle richieste dei lettori che lo hanno giudicato; richieste sintetizzabili nella necessità di una storia che potesse essere lo specchio convesso del mondo a cui è destinata; in parole semplici, che potesse essere un territorio conosciuto da sempre ma mai veramente capito ed esplorato nel modo in cui un libro ci fa capire ed esplorare le cose. Ci riferiamo al mondo dei ricchi, in una società corrotta e arrivista come quella italiana, e della violenza che attraversa la loro voglia di affermarsi nella società intorno a loro, della crudezza e della violenza che alligna nei loro rapporti al contempo; crudezza e violenza (da cui il titolo “La ferocia”) è estremamente riconoscibile proprio perché declinata in modo nostro, molto locale, senza mezzi termini, meridionale. Un meridione, certo, altolocato, forzatamente europeizzato, civilizzato, snaturato, ma questo lo rende romanzesco e interessante.

Certo il punctum dolens di Lagioia rimane, non possiamo nasconderlo, lo stile. Stile che non siamo i  primi a criticare, del resto, che in mezzo a varie frasi che possono mettere in difficoltà la comprensione immediata del racconto è anche capace, a sprazzi, di vividezza immaginativa. Molte volte Lagioia semplifica troppo la sintassi,  usa con libertà colloquiale alcuni nessi logici della frase, costruisce immagini che spiazzano il lettore fino a sembrare forzate e inutilmente fuori contesto: come il famigerato  incubo "sognato da una fotocopiatrice", che è stato oggetto dello scherno di qualcuno.

Però è anche vero che questo stile, non certamente basato sulla concinnitas, ma sulla elucubrazione, è uno stile personale, e ciò si avverte anche in tutte le frasi che rendono l’ermeneusi del libro non immediata, che lo rendono frastagliato, vissuto. Si vede dunque- cosa rara, in ogni caso, c’è da dirlo- nel dettato di Lagioia, al di là dei suoi difetti, una grande ricerca di coerenza, talora manieristica, ma  che non subordina mai all’effetto della frase la complessità di ciò che vuole esprimere, di ciò che vorrebbe comunicare e questa onestà intellettuale è comunque senza dubbio apprezzabile.

Insomma la vittoria di Lagioia è la vittoria, ci pare di dirlo, di un romanzo molto ben costruito, di un romanzo che non ha paura di confrontarsi pienamente con la tradizione da cui questo genere discende. È possibile, non ne siamo affatto certi, ma ci sentiamo di congetturarlo, che il premio Strega a Nicola Lagioia possa  trovare un'origine comune al premio a Walter Siti di due anni fa, ovvero la necessità del romanzo come genere narrativo sì forte, ma anche alla ricerca della realtà che lo circonda e luogo privilegiato di dilemmi etici e complessità umana.

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