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Le consultazioni per il nuovo governo

Perché l’IVA aumenterà al 25% e di chi è la colpa

Il presidente della Repubblica si oppone a un nuovo voto entro l’anno perché, in caso di un’ulteriore fase di stallo, l’Italia rischia di non essere in grado di far fronte all’approvazione del Def e della successiva legge di bilancio nei tempi previsti e questo potrebbe comportare l’aumento dell’Iva al 11,5% e al 25% per effetto della cosiddetta clausola di salvaguardia.
A cura di Charlotte Matteini
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Le consultazioni per il nuovo governo

Dopo oltre 60 giorni di pantano istituzionale, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha proposto la creazione di un governo "neutrale", ovvero non frutto di un accordo tra forze politiche, per accompagnare il Paese fino a dicembre, ovvero fino all'approvazione della prossima legge di bilancio. Con questa proposta, il Capo dello Stato vorrebbe scongiurare un ritorno alle urne in tempi brevi perché un'ulteriore lunga faso di stallo istituzionale potrebbe provocare numerosi problemi al Paese, tra cui l'aumento dell'Iva al 25% per effetto della clausola di salvaguardia.

Ma che cos'è questa clausola di salvaguardia e chi l'ha introdotta nel nostro ordinamento? La clausola di salvaguardia, in poche parole, è una clausola inserita che prevede l'aumento automatico di Iva e accise in mancanza di adeguate coperture finanziarie che andranno inserite nella legge di stabilità per disinnescarne gli effetti. In sostanza, è una sorta di "promessa di pagamento" che l'Italia fa all'Europa, prevedendo il reperimento di una determinata somma volta a garantire gli impegni presi, ovvero il rispetto dei vincoli di riduzione del debito e del deficit previsti dalle regole europee.

Ma se c'entra la legge di bilancio, allora è colpa del governo Gentiloni, Renzi, Letta o, come asserisce Matteo Salvini, di Mario Monti? No, in realtà la clausola di salvaguardia non è stata inserita da nessuno di questi attori politici, ma affonda le sue radici nel lontano 2011, l'anno in cui il Paese si trovava sull'orlo del default. All'epoca era il sella il governo Berlusconi e l'allora presidente del Consiglio, per dare un segnale a Bruxelles, si impegnò a reperire 20 miliardi di euro di risorse aggiuntive antro settembre 2012 per far quadrare i conti pubblici. In caso di mancato rispetto dell'impegno preso, sarebbe scattato un taglio di detrazioni e deduzioni fiscali. Pochi mesi dopo, Berlusconi venne costretto alle dimissioni e arrivò il governo Monti, cui toccò far fronte agli impegni presi. Monti reperì sì le risorse richieste, ma modificò l'iniziale funzionamento della clausola di salvaguardia prevedendo, al posto del taglio di detrazioni e deduzioni, l'aumento automatico di Iva e accise in caso di inadempimento. Dal 2011, insomma, la clausola di salvaguardia si trascina di legge di bilancio in legge di bilancio, passando tra le mani dei governi che si succedono.

Per disinnescare la clausola di salvaguardia nel 2019 occorre dunque trovare risorse pari a 12,5 miliardi di euro da mettere a bilancio nella prossima legge di stabilità che andrà approvata entro fine anno e altri 19 miliardi occorreranno nel 2020. In assenza di interventi, l'Iva al 10% salirà all'11,5% nel 2019 e al 13% l'anno successivo, mentre quella al 22% passerà prima al 24,2%, poi al 24,9% e infine al 25% nel 2021. Per questo motivo, dunque, il presidente della Repubblica è preoccupato dal perdurare dello stallo istituzionale e teme che un nuovo voto entro l'anno potrebbe mettere a rischio il reperimento delle adeguate risorse finanziarie necessarie a bloccare questo aumento di tassazione che penalizzerebbe l'economia italiana e graverebbe sulle tasche dei cittadini.

Queste coperture andrebbero inserite nel Def, il documento di programmazione economica e finanziaria che ogni anno l'Italia deve inviare entro aprile a Bruxelles. Complice lo stallo istituzionale, alla Commissione Europea per ora è pervenuta una relazione tecnica ma al più presto un nuovo governo dovrà approntare il documento vero e proprio e dunque indicare in che modo si intende far fronte alla copertura di quei 12,5 miliardi di euro previsti dalla clausola e in seguito, a settembre, una nota di aggiornamento al Def ancora più dettagliata. In extremis, l'Italia avrebbe comunque tempo fino a dicembre per trovare queste risorse economiche e inserirle in legge di stabilità, ma un nuovo voto a Luglio o a Ottobre potrebbe portare a una nuova fase di stallo e, di conseguenza, il rischio paventato da Mattarella potrebbe effettivamente concretizzarsi.

Lo scontro tra Padoan e M5S

Questa mattina, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, in audizione in Parlamento, ha messo in guardia gli organi istituzionali dal "protrarsi dell'incertezza politica, che potrebbe frenare la ripartenza degli investimenti" e ha sottolineato che "il rialzo può essere evitato e il gettito può essere sostituito da futuri interventi legislativi, per esempio con la legge di Bilancio per il 2019" e "il modo per farlo è la Nota al Def e la legge di bilancio. Non c'è assolutamente bisogno di fare un provvedimento in precedenza a questo", di fatto sconfessando la posizione di Luigi Di Maio che nella giornata di ieri aveva proposto il disinnescamento della clausola di salvaguardia nel Def senza aspettare il nuovo governo, procedendo in seguito, se necessario, con un apposito decreto legge.

"Padoan non capisce o fa finta di non capire. Un decreto immediato per sterilizzare la clausole Iva, su cui c'è un'intesa di fondo tra i partiti, disinnescherebbe subito la mina più pericolosa sul percorso della nostra economia e alleggerirebbe i rischi e le incombenze della sessione di bilancio. Il M5S sa come farlo e si pone con grande senso di responsabilità di fronte alle esigenze del Paese reale, a partire dalla risoluzione che presenteremo", hanno tuonato i parlamentari Cinque Stelle in risposta all'audizione del ministro dell'Economia.

"Il ministro ha letto bene i dati Istat? Enfatizza il presunto slancio acquisito dalla crescita italiana a partire dal 2014, mentre l'Istituto di statistica ci racconta che la dinamica sta rallentando e già stima un andamento del Pil per quest'anno probabilmente inferiore a quello fissato dal Def. Non a caso, nella relazione dello stesso Padoan si parla in realtà di crescita modesta, ai livelli pre-crisi. Ciò significa che le cosiddette riforme strutturali non stanno migliorando la situazione nel medio-lungo periodo, mentre la disuguaglianza si dilata e sembra che neanche il potenziale ne stia guadagnando, per cui siamo tornati a galla solo per merito di fattori esogeni", proseguono i pentastellati.

"Infatti, la controprova giunge con le dure e inusuali bacchettate che ci arrivano dalla Ue sulla riduzione del deficit strutturale. La verità è che la produttività dei fattori ristagna da decenni a causa di un modello sbagliato e di una malintesa competitività che molto spesso viene ricercata dal nostro sistema produttivo puntando al ribasso e comprimendo il costo del lavoro, invece che spingendo sulle innovazioni di processo e di prodotto. Dunque, per colpa di scelte troppo ‘labour intensive' e poco ‘capital intensive'. Peraltro, alcune misure, soprattutto sul fronte del recupero di evasione – per lo più condoni o norme contro le imprese – rischiano di non dare il gettito sperato. E la commissione Ue ci tiene il fiato sul collo con la probabile richiesta di una manovra correttiva da 3-5 miliardi. Come fa Padoan a sostenere che i conti pubblici sono in sicurezza? Il prossimo governo dovrà comunque gestire una eredità pesante", concludono.

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