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Perché l’Italia continua a esportare bombe in Arabia Saudita?

Solo pochi giorni fa dal porto di Olbia è salpato un carico di mille bombe destinate all’Arabia Saudita, che le userà nella sua offensiva in Yemen. È solo uno dei diversi cargo partiti in questi mesi. Eppure la legge italiana vieta di esportare armi “verso i Paesi in stato di conflitto armato”.
A cura di Claudia Torrisi
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bombe

Update – I senatori Pd Silvana Amati e Sergio Lo Giudice, membri della Commissione Diritti Umani del Senato, hanno depositato oggi un’interrogazione "per chiedere alla ministra Pinotti sulla base di quali valutazioni sarebbero stati autorizzati trasferimenti di ordigni esplosivi, prodotti in Sardegna, da Cagliari verso l’Arabia saudita, Paese che da marzo 2015 guida la coalizione in guerra con i ribelli Houthi in Yemen". "Nazioni Unite, istituzioni europee e ong sul territorio – hanno dichiarato i senatori – parlano di una vera e propria catastrofe umanitaria, con bombardamenti su infrastrutture civili, ospedali, scuole, che coinvolge l’80% della popolazione yemenita. La Legge 185/1990 e le convenzioni internazionali ratificate in materia vietano il trasferimento di armamenti se esiste il rischio, anche potenziale, che vengano usati in contesti di violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. Precedenti interrogazioni sul tema non hanno ottenuto risposta, data la gravità delle conseguenze potenziali, auspichiamo che la ministra Pinotti fornisca al più presto informazioni dettagliate sulla procedura di autorizzazione seguita, che rispondano alle preoccupazioni sollevate".

Qualche giorno fa, l'ex presidente della Regione Sardegna e deputato del gruppo Misto Mauro Pili ha denunciato su Facebook la partenza venerdì notte dal porto di Olbia di un carico di mille bombe dentro quattro enormi tir "marchiati con i simboli dell'esplosivo, scortati da sicurezza privata". A quanto si è saputo, i mezzi sono poi approdati la mattina dopo al porto di Piombino. La destinazione finale del carico è l'Arabia Saudita.

Le bombe sarebbero delle Mk83, prodotte in Sardegna dalla Rwn Italia di Domusnovas (Carbonia-Iglesias) che fa capo al colosso Rheinmetall Defense. Le armi verranno utilizzate nell'operazione militare che l'Arabia Saudita sta conducendo da mesi in Yemen. Durante la notte di mercoledì scorso era partito un altro carico – dallo stesso contenuto – dall'aeroporto di Cagliari su un volo secretato cargo 747.

Un altro volo è partito sempre dallo scalo cagliaritano il 29 ottobre. In un video dell'Unione Sarda si vede il velivolo fermo all'aeroporto, vicino a voli civili Ryanair, prima di partire alla volta della base aerea saudita di Taif. Lo scorso 2 maggio, invece, un primo cargo Jolly Cobalto era salpato dal porto di Genova fino a Jeddah, con a bordo 6 container di bombe per aereo MK82 e MK 84 senza esplosivo. Da Jeddah le armi sono state trasportate ad Abu Dhabi per essere assemblate. Questa circostanza è emersa grazie all'azione di un gruppo di hacker – Yemen Cyber Army – che ha sottratto almeno 500.000 documenti al ministero degli Esteri saudita. I file sono stati consegnati a Reported.ly, che ha condotto un'inchiesta, da cui è emerso che i componenti delle bombe sarebbero partiti da Genova perché realizzati in Sardegna dalla RWM Italia Spa, e che dal 2012 al 2014 l'azienda ha esportato anche un altro tipo di bombe, le MK83, alcune delle quali possono essere direttamente rintracciate in Yemen.

Cosa sta succedendo in Yemen?

Il 28 marzo l’Arabia Saudita ha formalmente annunciato alle Nazioni Unite il suo intervento militare in Yemen contro il movimento sciita Houthi, ma non ha mai ottenuto alcuna autorizzazione, né legittimazione. Il segretario dell'Onu Ban Ki-moon, anzi, ha condannato l'azione. Il Consiglio europeo, dal canto suo, si è dichiarato molto preoccupato per i bombardamenti in Yemen e gli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, in particolare le strutture sanitarie e le scuole. Secondo i dati delle Nazioni Unite ci sono oltre 6mila morti – più della metà dei quali civili. Per Medici senza Frontiere "la situazione umanitaria continua a peggiorare e ha raggiunto livelli inaccettabili". E proprio un presidio di Msf, lo scorso 26 ottobre, è stato distrutto da un bombardamento saudita: era l’unico ospedale nel raggio di 80 km.

Le denunce inascoltate in Italia

Pili aveva presentato lo scorso 18 novembre un ordine del giorno durante la discussione del dl sulla proroga delle missioni internazionali per chiedere di non autorizzare il trasferimento delle bombe: l’Italia, infatti, non è stata coinvolta da nessun organismo internazionale in Yemen e, anzi, questo conflitto è avversato dall’Onu. Ordine del giorno semplicemente non accettato. Prima di questo, dopo la spedizione del 29 ottobre, Pili aveva presentato un'interrogazione alla commissione parlamentare Trasporti, Poste e Telecomunicazioni chiedendo quali fossero le procedure di sicurezza adottate per consentire un trasferimento del genere in un'aeroporto civile come quello di Cagliari.

Quella di Pili, comunque, è stata solo l'ultima delle interrogazioni sulla questione giacenti in Parlamento. Angelo Romano e Andrea Zitelli su Valigia Blu ne hanno ricostruite altre cinque:

un'interrogazione di Roberto Cotti (M5Stelle), che chiedeva chiarimenti su quanto avvenuto all'aeroporto di Cagliari la sera del 29 ottobre.

Il 9 luglio, Giulio Marcon (SeL) ha chiesto al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale chiarimenti sull’utilizzo di ordigni fabbricati in Italia nell’operazione "Tempesta di fermezza" guidata dall'Arabia Saudita e da Egitto, Giordania, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Marocco e Sudan e avviata senza alcuna autorizzazione da parte dell'ONU e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e sull’eventuale autorizzazione del governo delle esportazioni effettuate dalla RWM Italia in Arabia Saudita.

Il 3 agosto, Silvana Amati (PD) ha presentato un’interrogazione in Senato per sapere se le esportazioni effettuate dall’Italia abbiano rispettato gli obblighi previsti dal Trattato sul commercio delle armi e se la documentazione relativa al carico partito da Genova con la nave Jolly Cobalto e arrivato a Dubai il 5 giugno 2015 sia in linea con la normativa in materia.

L’8 e 10 settembre i senatori Roberto Cotti (M5Stelle) e Luis Alberto Orellana (Gruppo Misto) hanno presentato un’interrogazione a risposta orale rispettivamente alla III Commissione Affari Esteri Emigrazione e al Ministero della Difesa.  Infine, il 7 maggio 2015 l’onorevole Emanuele Scagliusi (M5S) ha presentato una risoluzione alla III Commissione Affari Esteri e Comunitari che impegna il Governo a impedire il transito di armi e materiale bellico verso lo Yemen; a fornire dati necessari per sapere quante e quali armi usate in questo momento dall'Arabia nei bombardamenti sullo Yemen siano di provenienza italiana; a riconsiderare l'opportunità di vendere armi all'Arabia Saudita in violazione della legislazione italiana.

Oltre alle richieste in sede politica, la Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International Italia e l'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Difesa e Sicurezza (OPAL) di Brescia hanno più volte sollecitato il governo sul tema. Alla vigilia del viaggio di Matteo Renzi all'inizio di questo mese in Arabia Saudita le associazioni avevano chiesto al Presidente del Consiglio di "annunciare ai più alti rappresentanti della monarchia saudita la sospensione dell'invio dall'Italia di sistemi militari; dallo scorso marzo, infatti, le forze armate saudite sono alla guida di una coalizione che è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite con pesanti bombardamenti sulle zone civili e anche su scuole e strutture sanitarie causando una catastrofe umanitaria senza precedenti". L'appello è sostanzialmente caduto nel vuoto, visto che, come riporta l'Ansa, Renzi avrebbe sì sollevato il tema dei diritti umani nei colloqui avuti con le più alte istituzioni saudite, ma l'attenzione del governo italiano è andata "in questa fase in particolare ai casi del blogger Raif Badawi condannato alla fustigazione e del giovane Ali al Nimr condannato a morte per aver partecipato a una manifestazione della primavera araba".

Cosa dice la legge

La questione è regolata in Italia dalla legge 185 del 1990 – Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. L'articolo 1 prevede che:

L'esportazione, l'importazione e il transito di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia. Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. L'esportazione, l'importazione e il transito dei materiali di armamento, di cui all'articolo 2, nonché la cessione delle relative licenze di produzione, sono soggetti ad autorizzazioni e controlli dello Stato.

L'export di armi deve essere dunque autorizzato dal Governo. Inoltre l'esportazione è vietata "verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere".

"La legge parla chiaro. L'Onu ha dichiarato che la richiesta di intervento non gli è nemmeno mai pervenuta. Significa che l'Arabia Saudita sta agendo senza mandato. Anzi, con la condanna di Ban Ki-moon per un bombardamento che sta causando migliaia di morti. Qualcuno ha visto la consultazione delle Camere?", spiega Giorgio Beretta, dell’Osservatorio permanente sulle armi (Opal). "C'è una decisione politica dietro – aggiunge – e il governo Renzi si prenda la responsabilità di dirlo ai cittadini italiani".

Il ministro della Difesa Roberta Pinotti giovedì scorso ha spiegato che "è tutto regolare per quanto riguarda le autorizzazioni, il Governo italiano opera nel rispetto della legge". Per Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il Disarmo non è proprio così: "Segnalo al Ministro Pinotti che l’Arabia Saudita lo scorso 28 marzo ha formalmente annunciato alle Nazioni Unite il suo intervento militare in Yemen, ma non ha mai ottenuto dall’Onu alcuna autorizzazione né legittimazione. Il governo dovrebbe perciò sospendere immediatamente l’invio di materiali militari ai sauditi e rispondere in parlamento alle numerose interrogazioni che da mesi sono depositate".

Lo scorso luglio, in occasione dei 25 anni della legge, la Rete disarmo ha pubblicato un report da cui emergeva il quadro di una normativa fortemente svuotata:

Nei primi anni di applicazione i principi innovativi della Legge e il controllo, esercitato anche tramite una Relazione al Parlamento da parte del Governo, hanno permesso la diminuzione delle vendite verso Paesi con situazione problematica o in conflitto più o meno conclamato. Un trend che purtroppo si sta modificando in maniera netta negli ultimi anni: se nel quinquennio 2005-2009 è stata l’Unione Europea ad essere l’area di maggior vendita delle armi italiane, in quello successivo il primato è invece andato al Medio Oriente e al Nord Africa. Regioni tra le più turbolente del globo.

La legge 185/90 impone al Governo di presentare alle Camere una relazione annuale relativa alla compravendita di sistemi d'arma. Questo strumento è stato però progressivamente sminuito, con dati sempre meno univoci e chiari che rendono sempre più difficile ricostruire le esportazioni. Tra l'altro, è dal 2008 che le Commissioni parlamentari non prendono in esame queste Relazioni.

Dove vanno le nostre armi?

Secondo l'elaborazione dell'Opal, dal 1990 ad oggi le principali autorizzazioni all’export di armi italiane sono suddivise così: Unione Europea (35,9% del totale), Medio Oriente – Nord Africa (23,2%) e Asia (15,4%). Un quadro che cambia nel quinquennio 2010-2014: scendono le autorizzazioni verso Paesi Ue (24,5%) e aumentano sensibilmente quelle dirette in Medio Oriente e Nord Africa, (35,5%).

Sempre giovedì scorso, il ministro Pinotti ha detto che "all'interno dei Paesi Arabi ci sono fondazioni private che finanziano i terroristi e vanno estirpate, ma dire di non fare più affari con quei Paesi è come dire che non bisognava più avere rapporti con l'Italia perché c'era la mafia". In un articolo uscito su Famiglia Cristiana, Stefano Pasta ha richiamato una ricerca secondo cui "l’Isis ha avuto disponibilità di armi provenienti dall’Arabia Saudita e la stessa accusa grava sul Qatar. A quest’ultimo Emirato, dal 2012 al 2014 l’Italia ha esportato armi per 146 milioni". Per Beretta "l'Italia non ha mai fornito direttamente armi a Isis o altri gruppi. Ma attenzione a quello che può succedere. Il Washington Post ha fatto sapere che il Pentagono ha perso le tracce di armi per 500 milioni consegnate allo Yemen. E gli Stati Uniti tracciano le loro esportazioni, figuriamoci cosa rischiamo noi. Sarebbe ora di avere in Italia almeno un rapporto più dettagliato".

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