Da due giorni circola praticamente ovunque quella che definire una boutade appare più che riduttivo. L’ipotesi, diffusa dal Viminale, che l’Italia possa “bloccare l’ingresso nei porti” delle ONG straniere che trasportano migranti salvati in alto mare. Una tesi rilanciata da giornalisti e opinionisti e salutata con grande favore dalla destra e dalle opposizioni in Parlamento, secondo cui “finalmente” Minniti si sarebbe accorto di quanto sia insostenibile la gestione dei flussi migratori. “Insostenibile e ingestibile” erano del resto stati gli aggettivi con i quali lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva commentato lo stato della situazione sulle coste della Sicilia. Tra qualche alzata di spalle e qualche commento di prassi da parte dei referenti ai piani alti Ue, la notizia era diventata “ufficiale”, senza che la politica italiana battesse ciglio.
Oggi, per fortuna, ci ha pensato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio a ricordarci che si può parlare dell’emergenza senza perdere necessariamente il contatto con la realtà. Delrio ribadisce l’ovvio, ma stavolta serve. “Non chiuderemo nessun porto”, dice in una intervista al Corriere della Sera, aggiungendo che “non stiamo rinunciando a quei princìpi di umanità che l'Italia ha messo in campo con Renzi e Gentiloni”. Certo, per Delrio la posizione assunta da Minniti e dal Governo è comunque legittima e giustificata: “La nostra fermezza e la protesta di queste ore è per chiedere che l'Inno alla gioia si suoni anche quando sbarcano le navi dei migranti e non solo per celebrare il sogno europeo. Vogliamo risposte. Perché gli sbarchi sono aumentati del 14% e per le condizioni terribili di povertà e instabilità dei Paesi di provenienza, come Siria e Libia”.
Ma una cosa è chiedere, giustamente, che l'Europa faccia ciò per cui è nata, mettendo in campo uno sforzo di solidarietà che vada oltre le chiacchiere e le elemosine. Un'altra è fare la voce grossa dicendo sostanziali sciocchezze.
Vale la pena di ricordare che “sbarrare l’accesso ai porti” a una nave con a bordo naufraghi (prima ancora che profughi) è pratica vietata dai Trattati internazionali e dal diritto del mare. Ricordiamo anche, se ancora ce ne fosse bisogno, che per il principio di non refoulement non possiamo respingere le navi dei migranti verso la Libia. E ricordiamo, infine, che le operazioni in mare aperto delle ONG sono coordinate dal MRCC di Roma, sotto il diretto controllo della Guardia Costiera Italiana.
Come ha spiegato ASGI, del resto, la situazione è davvero paradossale:
Attualmente l’apporto delle ONG in termini di vite salvate ai naufragi è di quasi il 50% dei salvataggi effettuati. Esse, nel condurre i migranti nel “luogo sicuro” (il porto italiano nel caso del Mediterraneo centrale), oltre che a rispettare elementari principi di umanità, non fanno altro che dare attuazione alla citata convenzione internazionale sul soccorso in mare.
Che altro dovrebbero fare infatti le organizzazioni umanitarie con a bordo i migranti salvati che nessuno vuole fare sbarcare? O forse il messaggio che si vuol far giungere loro in modo indiretto (giacché dirlo in modo diretto sarebbe eticamente ripugnante) è che debbono smettere di salvare vite umane?
Nel frattempo il “dibattito” continua, con una piega surreale nella richiesta che le ONG, dopo il salvataggio in mare, dirigano le proprie imbarcazioni verso i Paesi di cui battono bandiera. Ma questa è un'altra fantastica storia della quale vi parleremo più avanti…