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Opinioni

Perché il caso Boschi può costare caro al PD nella prossima campagna elettorale

Quanto costerà al Partito Democratico la grana Boschi in termini di consenso elettorale? Molto, probabilmente. E non solo perché rappresenta un clamoroso regalo al MoVimento 5 Stelle…
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Quanto successo in queste ore rende bene l’idea della complessità della partita che si giocherà a marzo quando, con ogni probabilità, gli italiani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Il problema è giocare al meglio una partita di cui praticamente si conosce già il risultato, che potrebbe cambiare solo con clamorosi colpi di scena, che comprendono il suicidio politico di uno dei contendenti o clamorosi colpi di scena. Appunto.

Il segretario del PD è quello che se la passa peggio di tutti. La grana Boschi è solo l’ultima mazzata al progetto di costruzione di una comunità pensata per coloro che avevano votato Sì al referendum costituzionale, un fronte composito che sembrava potersi aggregare intorno a un soggetto politico moderato e riformista. Un progetto che resta in piedi, certo, ma che si fondava sulla credibilità e attrattività di una classe dirigente che, dopo aver preso il controllo del partito, aveva più o meno gentilmente accompagnato alla porta il vecchio gruppo dirigente (sì, tecnicamente se ne sono andati loro…), immaginando di costruire una nuova rete di relazioni e una nuova struttura in grado di tenere in mano a lungo le redini del centrosinistra. Del resto, sul fronte delle alleanze, il PD si è già arenato in modo imbarazzante. Dopo aver “dato mandato a Fassino”, ci si è trovati con il flop di Pisapia, l’addio di Alfano e il passaggio (ormai certo) di Boldrini nelle fila di Liberi e Uguali. Restano, forse, Emma Bonino con la sua lista liberale ed europeista, Cicchitto e Lorenzin con ciò che resta della creatura di Alfano, forse Massimo Zedda e qualche altro Sindaco "rosso" con una specie di "unione di liste civiche territoriali", che potrebbero pesare nei vari collegi.

Non esattamente l'invincibile armata, diciamo, almeno in termini di consenso elettorale.

In tal senso, il caso Boschi ha un peso doppio. Il PD non può più contare su un alleato in grado di raccogliere il voto in uscita, magari quello dei militanti delusi dalle scelte del partito, o semplicemente infastiditi da aggressività e autoritarismo, tratti distintivi di un certo renzismo. Il cuscinetto a sinistra, stavolta, non è rappresentato da un alleato, ma da un nemico. E, con la prospettiva del “pareggio certo”, viene meno anche la logica del voto utile per battere la destra, cui si sono praticamente sempre affidati i leader del centrosinistra negli ultimi anni. Nei singoli collegi, anche in quelli ritenuti sicuri, ciò può pesare tantissimo.

Ma c’è di più, ovviamente. L’idea di Renzi era (è) quella di condurre una campagna elettorale molto aggressiva, puntando molto sui risultati ottenuti negli anni in cui il PD ha governato. I dati economici, i risultati del Jobs Act, i bonus e il lavoro in tema di diritti civili, certo. Ma anche la gestione delle crisi bancarie, su cui Renzi ha sempre rivendicato una discontinuità rispetto al passato, alla “vecchia politica” fatta di caminetti e conflitti di interesse, di incroci pericolosi fra controllori e controllati, fra organi di garanzia e parti in causa. Una linea che, alla luce di quanto sta emergendo in Commissione banche, appare molto poco convincente. Anche in relazione a come la questione sarà affrontata dagli altri partiti in campagna elettorale. Insomma, per tagliare corto, di banche e discontinuità col passato, Renzi difficilmente potrà parlare senza esporsi al fuoco incrociato di media e avversari politici. Anche considerando il ruolo, ancora tutto da chiarire, del suo amico Carrai nella vicenda Unicredit – Etruria.

Poi c’è la figura di Maria Elena Boschi, che il PD non può e non vuole lasciare in balia della tempesta. Farlo, infatti, significherebbe avallare le ricostruzioni dei detrattori, certificando la non irreprensibilità del suo operato. Allo stesso tempo, fino a che punto Boschi è un volto “spendibile” per una campagna elettorale da condurre casa per casa, voto per voto? E, ancora, fino a che punto è un politico “utile alla causa” nel caso di mediazioni post elezioni, magari per un governo di larghe intese?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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