Perché il 77esimo posto dell’Italia nella classifica sulla libertà di stampa non significa nulla
Oggi è la giornata mondiale della libertà di stampa, istituita nel dicembre del 1993 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Da oltre 20 anni, quindi, il 3 maggio di ogni anno in tutto il mondo si celebra il World Press Freedom Day e si coglie l'occasione per commemorare i reporter che hanno perso la vita facendo il proprio lavoro e creare dibattito attorno al tema della libertà di stampa, cercando di valutare e classificare il grado di indipendenza dei media nazionali e l'autonomia di cui godono i giornalisti nei vari paesi del mondo.
A questo scopo, ogni anno viene pubblicata dall'organizzazione non governativa "Reporters sans Frontières" il World Press Freedom Index, ovvero la classifica della libertà di stampa nel mondo. Secondo l'ultimo rapporto, pubblicato nell'aprile 2016, l'Italia sarebbe scesa al 77° posto, ben quattro posizioni in meno rispetto al 73° del 2015, sotto Armenia, Nicaragua e Moldavia.
Questo contraccolpo, spiega Reporters sans Frontières, sarebbe dovuto principalmente al caso Vatileaks e al relativo processo intentato dal Vaticano contro i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, colpevoli, secondo le accuse della Chiesa, di aver scritto dei libri avvalendosi di documentazioni sottratte illecitamente. Non solo, secondo il rapporto, nell'ultimo anno ci sarebbe anche stato un "grande incremento di attacchi alle loro proprietà, soprattutto alle automobili" e sarebbero inoltre aumentate anche le cause di diffamazione infondate, passate dalle 84 del 2013 alle 129 del 2014. Queste, quindi, sono le motivazioni che hanno trascinato l'Italia verso il fondo della classifica stilata da RSF.
Ma è davvero attendibile questo indice sulla libertà di stampa? Per rispondere a queste domande è necessario analizzare le metodologie statistiche utilizzate dalla Ong per valutare il livello di press freedom. Insomma, come vengono calcolati i punteggi attribuiti ai vari Paesi? Il punto cruciale è proprio questo: per riuscire a comprendere i risultati dell'indice mondiale sulla libertà di stampa e il relativo grado di affidabilità è necessario specificare che tipo di procedura di raccolta, osservazione e accorpamento dei dati viene utilizzata da Reporters sans Frontières. Iniziamo con il dire che l'indice globale, che viene poi utilizzato per stilare la classifica generale, si compone di due distinte parti, una quantitativa e una qualitativa.
Per quanto riguarda la parte qualitativa, tutti i dati vengono raccolti attraverso la somministrazione di un questionario, tradotto in 20 diverse lingue, che l'organizzazione distribuisce a tutti i propri partner sparsi in giro per il mondo, principalmente associazioni di giornalisti e singoli professionisti, di cui però nessuno conosce né l'esatto numero complessivo, tantomeno l'identità dei partecipanti. Il questionario prevede 87 domande, suddivise in sei grandi macrotemi: legislatura, trasparenza, infrastrutture, pluralismo, indipendenza dei media e, infine, contesto e autocensura. I giornalisti, quindi, rispondono alle domande tenendo conto delle proprie personali esperienze e sensibilità diverse. Mediando quindi, attraverso l'applicazione di una formula statistica che soppesa i risultati emersi, si ottiene il primo indicatore: lo ScoA.
Per quanto riguarda la parte quantitativa, invece, il secondo indice viene elaborato analizzando gli abusi perpetrati ai danni dei giornalisti in ogni Paese. Per ottenerlo fa una media ponderata di tutti i casi di omicidi, arresti, minacce e licenziamenti relativi all'anno oggetto di analisi e il risultato finale viene poi sommato allo ScoA, ottenendo così il secondo indice: lo ScoB. Questo secondo dato, però, pesa per il solo 20% sulla classifica globale.
Insomma, come si può già evincere dalla spiegazione relativa alla metodologia, l'indice elaborato da Reporters sans Frontières si basa per un buon 80% su risposte molto soggettive e i dati, quindi, vengono influenzati dalle sensibilità e dalle esperienze personali dei giornalisti facenti parte del network della Ong. Il metodo statistico, infatti, pur essendo stato modificato e implementato negli ultimi anni, ancora oggi viene criticato dagli esperti del settore, i quali sostengono che, nonostante i cambiamenti apportati, esso sia ancora troppo legato all'inferenza soggettiva degli intervistati per essere considerato davvero affidabile.
Quindi no, la risposta alla domanda iniziale è no: il World Press Freedom Index non è attendibile come a prima vista potrebbe sembrare. L'Italia, che sicuramente ha dei problemi sul fronte della libertà di stampa e dell'indipendenza dei media, non può essere certo considerata meno libera di un Paese come El Salvador – lo Stato con il più alto tasso di omicidi al mondo – che, inspiegabilmente, RSF pone al 58° posto in classifica.