Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis, rispettivamente neo premier e neo ministro delle Finanze greci, hanno mantenuto le promesse iniziando un tour nell’Europa “non germanica” che li ha portati a Cipro, Parigi e, oggi, Londra, nel tentativo di trovare sponde (per ora riuscito solo in parte visto la cautela mostrada da Londra) per la loro proposta di allentare la morsa dell’austerity, “ricetta letale” con cui la Germania da quattro anni tenta, invano, di far ripartire l’economia del vecchio continente riuscendo solo a mandare sotto zero i prezzi e senza che alcuna riforma realmente strutturale sia stata varata se non per quanto riguarda il mercato del lavoro (in Spagna) e la spesa previdenziale (in Italia). Persino in Grecia, a guardare bene, si è finora molto scritto e detto ma poco fatto: dei 25 mila dipendenti pubblici “in eccesso” sarebbero stati mandati a casa (non si sa bene se tutti licenziati o ricorrendo anche a pensionamenti o altri “scivoli in uscita”) non più di 7-8 mila, mentre le privatizzazioni annunciate non erano ancora partite e le pensioni, bloccate, dovrebbero essere rivalutate ma non si sa quando e di quanto.
Così da una parte trovare un’intesa non sembra una “missione impossibile” nonostante tutto perché la Germania sa che già ora i prestiti che la Ue ha concesso alla Grecia sono a lunghissima scadenza (oltre 32 anni) e basso interesse (l’1,5%, anche se con l’attuale quadro di tassi e andamento dei prezzi si può pensare che Varoufakis riuscirà ad ottenere un ulteriore sconto). D’altra parte Varoufakis, economista “di sinistra” che a un più che rispettabile curriculum accademico ha unito in questi anni una consulenza nella Silicon Valley per sviluppare le regole macroeconomiche e valutarie in base alle quali avvengono le transazioni in Dota2 (Defense of the Ancients 2, una delle modalità di gioco sviluppate per Warcraft III: Reign of Chaos, a sua volta capitolo della serie Warcraft prodotta da Valve Sofware su licenza di Blizzard Entertainment) e sulla piattaforma videoludica Steam.
Un’esperienza formativa interessante, perché Varoufakis ha potuto “cambiare i valori sottostanti, le regole e i regolamenti e stare seduto a guardare come una comunità risponde, come cambiano i prezzi relativi, come i nuovi modelli di comportamento che si evolvono”, in quello che lui stesso sul proprio blog ha definito “un vero paradiso per economisti”, dato che non richiede di effettuare rivelazioni a campione i cui risultati possono essere spiegati da una dozzina di teorie economiche contrastanti. Ora Varoufakis ha la possibilità di testare ancora una volta direttamente la reazione dei soggetti coinvolti al tentativo di variare le regole e di valutare, in presa diretta, come evolveranno i modelli di comportamento.
Con l’unica e non trascurabile variante che questa volta non si tratta di un’economia del valore di qualche decina di milioni di dollari riferita a mondi virtuali “abitati” da pochi milioni di utenti, ma di una comunità, l’Eurozona, che nel 2014 dovrebbe aver registrato un Pil aggregato di oltre 12,75 triliardi di dollari e che coinvolge una popolazione di oltre 507 milioni di persone. Cosa possa venirne di buono per l’Italia non è ancora chiaro: in teoria un minor accento sul rigore e la ricerca di una soluzione comune per far ripartire la crescita nel Sud Europa dovrebbe portare alla nascita, attesa vanamente da anni a causa dell’ostilità manifesta della Germania (che anche in queste ore resta sulle sue posizioni , continua a ripetere “nein” e non vuole incontrare i leader greci in un faccia a faccia), di eurobond coi quali finanziare infrastrutture comunitarie.
Ma non è detto che sia questo ciò che sta a cuore ai leader greci, che (giustamente) provano anzitutto a fare gli interessi del proprio paese tanto che in un’intervista a Le Figaro Varoufakis ha ricordato: “non è solo una crisi della Grecia. Il debito in Italia è insostenibile, la Francia sente il respiro della deflazione sul collo, anche la Germania è in deflazione”. Tutto molto comunitario, ma anche molto chiaro nel far capire: se pensate che uno “sconto” su parte dei 240 miliardi di euro di prestiti concessi dalla “troika” Ue-Bce-Fmi sarebbe un problema, pensate cosa accadrebbe se ad avere problemi fosse l’Italia, che di debiti ne ha quasi 10 volte tanto. Corretto, come è corretto segnalare che è insostenibile un debito che continua (ormai dagli anni Novanta) a crescere a un tasso superiore alla crescita del Pil che concorre a generare.
In questo senso Varoufakis svela facilmente il bluff italiano, che solo grazie all’intervento della Bce, che non potrà essere eterno né risolutivo, a visto i tassi di mercato sul debito pubblico calare sui minimi storici (e ciò nonostante restare più elevati della crescita attesa del Pil nominale, determinando un inevitabile incremento del rapporto debito/Pil ove non si contragga la spesa pubblica o non si aumentino le tasse: cosa sia preferibile in questo momento ciascuno di voi può immaginarlo liberamente) in assenza ancora di risultati concreti delle misure economiche (chiamarle riforme strutturali pare esagerato) fin qui varate, fin troppo spesso sbilanciate sul versante dell'ulteriore incremento delle tasse piuttosto che dell'efficientamento e riduzione della spesa pubblica.
Tuttavia il neo ministro greco ha aggiunto, in un post sul proprio blog: così come l’egemonia statunitense nel secondo dopoguerra finanziò il “new deal” in casa propria e la rinascita dell’Europa, allo stesso modo la Germania deve andare oltre la richiesta di disciplina di bilancio, anche se certamente “non ha la capacità di fare ciò che gli Stati Uniti hanno fatto dal 1980 al 2008”, ossia di operare “come un gigantesco aspirapolvere risucchiando esportazioni nette verso il suo territorio da altre nazioni, a costo di un deficit in continua espansione”. Deficit, aggiungo io, che costituirà l’ultima e più grande “atomica” finanziaria mondiale se un giorno la crescita americana dovesse non essere più sufficiente a sostenerlo e non si sarà trovato il modo di ridurlo per tempo.
Semmai, conclude Varoufakis, ed è un ragionamento che condivido, “una Germania egemone dovrebbe trovare il modo di incanalare enormi masse stagnanti del risparmio verso investimenti produttivi nella periferia (europea), dove esse produrrebbero redditi che servirebbero a ripagare il debito e mantenere quel livello di domanda intra-Ue di cui hanno bisogno le aziende tedesche per rimanere competitive dentro e fuori l’Europa” . Sarebbe una riforma realmente strutturale, in quanto culturale, in grado di cambiare il destino dell’Eurozona rispetto alle incerte prospettive attuali, trasformando un gioco a somma zero come l’attuale in un gioco a somma maggiore di zero. Varoufakis, come detto, i suoi esperimenti li ha potuti condurre “sul campo” e non solo a livello teorico, forse per questo fa paura ad alcuni e non sembra parlare la stessa lingua di altri.
Personalmente spero che non si sbagli e che possa essere l’inizio di un processo di riaggregazione, su basi più omogenee, dei paesi dell’Eurozona. Ne beneficerebbe anche l’Italia che nei primi undici mesi del 2014 ha registrato un avanzo di bilancia commerciale intra-Ue pari a 14,336 miliardi di euro, con una crescita del 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2013, un tasso che se “contagiasse” il Pil metterebbe in sicurezza il nostro debito pubblico consentendo di pensare a come ridurlo gradualmente senza necessità di manovre “d’urgenze” da un anno con l’altro. Quanto poi di questa crescita della bilancia commerciale sia da imputare ad una maggiore domanda di prodotti e servizi italiani e quanto derivi da una caduta delle importazioni per soddisfare la domanda domestica è altro discorso, purtroppo.