Messa corta, tavola lunga. Il motto italiano legato alla Pasqua rimanda immediatamente alla centralità del pranzo pasquale che, celebrando la resurrezione di Gesù con un banchetto abbondante, pone fine al periodo di privazione della Quaresima e del Triduo pasquale aperto dal giovedì santo. Sulla lunga tavola di Pasqua un posto d’onore spetta allora alle pietanze proibite durante questi periodi di penitenza alimentare.
Da quando nel IV secolo l’imperatore romano Costantino aveva ufficialmente stabilito nella croce il simbolo della Pasqua e la data di quest’ultima alla prima domenica dopo l’equinozio di primavera, sarebbe stato necessario attendere il Medioevo perché alcuni cibi – come i lettori di questa rubrica sanno – fossero vietati nel periodo di semi-digiuno.
Tra questi, la carne rappresentava un cibo particolarmente in conflitto con l’idea di penitenza e mortificazione del corpo, essendo non soltanto costoso, ma anche grasso e caldo, e dunque ispiratore di passioni quali l’euforia e l’eccitazione. Veniva quindi sostituito con il più magro e puro pesce, sebbene nell’interpretazione napoletana dell’irrinunciabile zuppa di cozze del giovedì santo sia abbastanza difficile riconoscere queste caratteristiche. Ecco quindi che la carne divenne protagonista del pranzo di Pasqua, anche se in forme diverse: come agnello nei paesi mediterranei, prosciutto in Nord Europa e manzo in Inghilterra.
Un altro alimento vero e proprio simbolo della Pasqua e della rinascita sono le uova. La loro proibizione durante la Quaresima datava all’epoca di Carlo Magno, sulla base di un’assimilazione alla carne (che avrebbe potenzialmente contenuto) risalente a un trattato del vegetariano Pitagora. Tutte le uova raccolte nei pollai venivano allora immerse in cera o grasso fusi e poi decorate, così da essere conservate per la domenica di Pasqua quando, per festeggiare la fine della penitenza, sarebbe stato possibile mangiarle.
A parte in forma di un’enorme frittata documentata per alcuni banchetti pasquali italiani del Quattrocento, esse venivano solitamente consumate in associazione con particolari tipi di pane, decorati con uova sode, talvolta dipinte, avvolte in una croce. È in questa versione che le troviamo ancora oggi nel casatiello napoletano, le cui uova visibili, cinte da croci di pasta, lo distinguono dal tortano, che è possibile mangiare invece tutto l’anno. Le uova venivano usate inoltre anche in diversi giochi molto popolari, dalla caccia alle uova alla guerra con le uova.
Queste pratiche sono anche all’origine della tradizione di regalare, in occasione della Pasqua, cestini di uova dipinte e avvolte da nastri, preferibilmente di colore rosso, associato nella cultura europea alla fortuna e alla gloria. Una versione particolarmente preziosa era quella che gli zar regalavano ai membri della propria corte, che consisteva in uova d’oro, argento e platino, fabbricati dal gioielliere reale Fabergé e contenenti una sorpresa al proprio interno.
A queste abitudini va ricondotta l’origine delle uova di cioccolato, anch’esse avvolte da nastri colorati. Ma per questo sarebbe stato necessario attendere una trasformazione epocale nella storia del cioccolato stesso, che vi racconteremo un’altra volta.