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Opinioni

Per vincere occorre aprirsi al nuovo, non chiudersi in difesa

Anzichè parlarvi di borsa o della crisi greca oggi vi presento un esempio concreto di come si può avere successo aprendosi a nuove esperienze, piuttosto che continuando a giocare solo in difesa.
A cura di Luca Spoldi
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Usa - case in vendita

Ero incerto stamane se parlarvi come già ieri di ulteriori voci (come quella di Bpm che si appresterebbe a varare un taglio di 1.300-1.500 dipendenti, circa uno ogni sei dei circa 8.500 impiegati a fine settembre scorso) e notizie (la vittoria di Alenia Aermacchi nella gara per fornire 30 nuovi addestratori militari a Israele, del valore di 1 miliardo di dollari, o la cessione della divisione sistemi elettronici di Cobra all’operatore di private equity BluO per 5 milioni di euro) che in questi giorni muovono titoli grandi e piccoli quotati sul listino di Milano, o se cercare di fare il punto sulla “tragicommedia” greca, che lunedì nel corso del prossimo Eurogruppo dovrebbe vedere finalmente il via libera al secondo piano di aiuti internazionali da 130 miliardi di euro (che con buona pace di gestori di fondi hedge come l’americano John Paulson dovrebbe almeno per ora evitare un default disordinato sui titoli di stato di Atene e il conseguente rischio di una disgregazione dell’eurozona e dell’euro).

Poi mi sono detto: sono temi interessanti per un pubblico di investitori e di analisti finanziari ma forse in troppo sfruttati per suscitare particolare interesse in un pubblico più vasto. Così mi sono tornate in mente le chiacchiere fatte in questi giorni con Fulvia Arienti, autrice di un volume, “Real estate – Guida pratica agli investimenti immobiliari in America” (Edizioni Dialogika), nel quale racconta la sua esperienza di giovane imprenditrice italiana passata da una serie di esperienze nella gestione di attività commerciali a Milano prima e come sales manager di una società di “benessere finanziario” poi all’attuale occupazione a tempo pieno di investitrice nel mercato immobiliare americano.

Un modo di investire decisamente alternativo a quello che di solito si racconta, fatto di fondi immobiliari o titoli di grandi imprese attive nel settore, o anche al mondo dei “palazzinari” che negli anni passati sono stati spesso protagonisti delle cronache finanziarie italiane, non sempre con esiti felicissimi. Fulvia, infatti, ha liquidato alcuni suoi investimenti in Italia, raccolto un primo capitale, è volata negli Stati Uniti, ha aperto una società ed acquistato abitazioni di valore contenuto, tra i 15 e i 30-35 mila dollari l’una (solitamente provenienti da procedure di messa all’asta a seguito di un pignoramento bancario), per poi ristrutturarle e affittarle (in media attorno ai 750-850 dollari al mese per un'unità immobiliare monofamiliare). Un tipo di investimento se volete molto “vecchio stile”, eppure ormai quasi impossibile da effettuare in Italia a meno di non disporre di capitali rilevanti e sempre sperando di evitare problemi legati a procedure di sfratto che nel Belpaese suscitano il più delle volte un coro di polemiche e interrogativi morali che negli States nessuno si pone, neppure coloro che hanno perso la proprietà dell’immobile (ma in cambio hanno visto cancellato ogni residuo debito verso la banca e a volte hanno ottenuto una piccola somma a titolo di liquidazione, come avviene nelle procedure di “short sale”).

Di più: se in Italia il “padrone di casa” è visto come una figura simile a quella dei famigerati “speculatori” di cui periodicamente parlano i grandi media nazionali (ogni volta che la borsa italiana o peggio i titoli di stato o finanche l’euro perdono vistosamente quota, poco importa quali siano le motivazioni fondamentali sottostanti), in America, mi spiegava Fulvia in una chiacchierata telefonica che mi ha fornito molti spunti di riflessione, si è visti come un investitore che col suo intervento di riqualificazione dell’immobile appena comprato è in grado di favorire un recupero di valore dell’intero circondario. Tutto un altro mondo insomma, a cui non è tuttavia impossibile accedere a patto di non spaventarsi di fronte alla prospettiva di doversi adattare per un periodo di tempo più o meno lungo a un nuovo mercato e a una cultura diversa dalla nostra, dove non è detto che i nostri gusti e le nostre competenze facciano premio.

Gli episodi che mi raccontava Fulvia mi hanno fatto ricordare altri racconti che ho sentito in questi anni, in cui giovani studenti, sviluppatori, consulenti e manager di tutti i settori ma in particolare nel campo dei servizi e delle nuove tecnologie hanno cercato (e molto spesso trovato) all’estero, in Europa come negli Stati Uniti, quei capitali, quegli aiuti in termini manageriali o di competenze tecniche, quella distribuzione commerciale che in Italia non riuscivano a trovare. Di molte riforme che il governo Monti potrebbe e dovrebbe varare ancora, sperando che nessuno dei partiti che al momento sostiene l’esecutivo decida di “staccare la spina” anzitempo per tutelare rendite di posizioni e interessi di parte (rischio che purtroppo pare non del tutto remoto, pur essendo evidente la diversa considerazione con cui i partner europei stanno finalmente interloquendo con l’attuale inquilino di Palazzo Chigi rispetto a chi lo ha preceduto) una che sostenesse con forza una maggiore apertura verso l’estero della nostra economia, una maggiore disponibilità di credito (da parte di operatori nazionali e internazionali) per le nostre nuove aziende, una più ampia diffusione della cultura economica e d’impresa resta a mio avviso assolutamente necessaria, per poter fare da volano “virtuoso” a ulteriori aperture dell’Italia verso altre esperienze e best practices mondiali.

Tra le quali, evidentemente, è lecito scegliere, ma che ci si dovrebbe sforzare di conoscere meglio e quanto più a fondo sia per gli evidenti vantaggi personali che ne deriverebbero a ciascuno (specie se imprenditore o libero professionista), sia per l’arricchimento, culturale ed economico, che ne deriverebbe al paese tutto. Un paese che si ritroverebbe finalmente affrancato dalle sue paure e dalla sua isterica ricerca di protezioni dalla “cattiva” concorrenza estera (che naturalmente può esistere ed esiste in molti casi, ma che si può combattere più efficacemente spostandosi verso sempre nuove e più innovative produzioni che non solo con le armi, sempre più spuntate non fosse altro per un problema di differenti costi di produzione e distribuzione, dei dazi, dei brevetti o delle barriere all’entrata) e che potrebbe scoprire che per vincere serve molto di più sapere come aprirsi al nuovo che giocare sempre e solo in difesa. Una regola che vale in campo economico ma anche in ambito culturale e sociale, se ci pensate.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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