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Per Immsi Alitalia non è stato un affare, per gli italiani neppure

A quattro anni dal “salvataggio” di Alitalia-Air One i conti di Cai non tornano ancora e gli “investitori coraggiosi” iniziano a svalutare le quote a partire dalla Immsi di Roberto Colaninno. Ma quanto è costata la vicenda finora?
A cura di Luca Spoldi
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Presentazione del nuovo aereo Embraer dell'Alitalia

Quanto è costato “salvare” Alitalia e Air One? Dai 3 ai 4 miliardi di euro a seconda dei costi considerati: i primi 3 miliardi sono pesati sulle spalle dei contribuenti italiani, l’ultimo miliardo su quelle dei “capitalisti coraggiosi” che Roberto Colaninno riunì nel 2008 nella cordata Cai, che appunto per poco più di 1 miliardo acquistò gli asset “sani” degli ex gruppi Alitalia (che aveva nel frattempo rilevato anche il gruppo Volare) e Air One (impegnato all’epoca in un oneroso programma di rinnovamento della flotta finanziato grazie a Intesa Sanpaolo e poi proseguito sotto le insegne della “nuova” Alitalia – Cai). In questi quattro anni (il 12 gennaio scorso è scaduto l’impegno dei soci a non vendere le proprie partecipazioni) gli azionisti di Cai, tra cui dal gennaio 2009 anche Air France – Klm (che per un 25% pagò 323 milioni di euro, salvo “stimare” già nel giugno del 2010 un valore residuo della partecipazione pari a 188 milioni), hanno visto l’ex compagnia di bandiera italiana, fusa con la sua principale concorrente domestica, perdere in media la bellezza di 200 milioni di euro l’anno circa, per quasi 800 milioni complessivi.

Ma i guai non sono finiti: causa il prolungarsi della recessione e la concorrenza sempre accesa del settore, Alitalia anche nei primi mesi del 2013 ha perso in media un milione di euro al giorno tanto che lo scorso 21 febbraio la ventina di azionisti tra cui il gruppo Riva (10,62% del capitale), la stessa Intesa Sanpaolo (8,86%), i Benetton (tramite Atlantia all’8,85%), il gruppo Angelucci (5,31%) e Carlo Toto (5,31%), hanno metter mano al portafoglio e, non senza qualche dissapore (i soci Salvatore Mancuso, Achille D’avanzo, Cosimo Carbonelli D’Angelo e Antonio Orsero hanno votato contro in assemblea), approvare l’erogazione di un prestito da 150 milioni di euro sottoscritto dagli stessi soci a favore della compagnia, necessario per garantire l’attività della compagnia. Poi si dovrà decidere che fare.

Per capire come la classe “digerente” di questo paese sia stata sistematicamente in grado di distruggere valore basterebbe ricordare che Air France – Klm nel 2009 aveva offerto per il gruppo italiano 1,7 miliardi, offerta rimandata al mittente in nome della “solita” (e retorica) difesa dell’italianità del gruppo. Una difesa assurda, perché ancora una volta frutto non di una valutazione economico-strategica, ma di una scelta ideologica e di una serie di interessi conflittuali sia di natura politica, visto che la cessione ad Air France – Klm era stata caldeggiata dal governo di Romano Prodi salvo poi essere osteggiata dal successivo governo di Silvio Berlusconi che invece favorì la cordata guidata da Colaninno anche a costo di far rimettere qualche ulteriore centinaia di milioni di euro ai contribuenti italiani, sia di natura finanziaria, perché con la soluzione “italiana” oltre ad Alitalia vennero di fatto salvati i crediti che Intesa Sanpaolo vantava nei confronti della Air One di Carlo Toto.

Che succederà ora? Immsi, holding di Roberto Colaninno cui fanno capo anche una cinquantina di società dall’immobiliare all’industria tra cui i Cantieri navali Rodriguez e Piaggio e che controlla il 7,08% di Cai, ha appena approvato il bilancio 2012 chiuso con un rosso di 33,6 milioni di euro, a fronte di un utile di 8,5 milioni nel 2011, dopo aver svalutato di 36,3 milioni la propria quota di partecipazione, riducendolo da 77,3 a 43,7 milioni di euro (con una valutazione implicita del 100% della compagnia che cala così da 1.092 a circa 617 milioni, altri 135 milioni in meno di quanto sarebbe dovuto valere in base alla sopramenzionata “stima” di Air France del giugno 2010). Ma se la crisi non passa e non si trova una cura adeguata, una compagnia che continua a perdere soldi ogni giorno non può sperare di trovare molti pretendenti.

Air France – Klm si è ormai tirata indietro (anche perché ha i guai suoi, tra il 2011 e il 2012 il vettore francese ha infatti registrato perdite per 2 miliardi di euro), Trenitalia ha ripetutamente smentito di essere interessata a una “fusione intermodale”, mentre la compagnia di Abu Dhabi, Etihad (già presente nel capitale di Air Berlin e di altri vettori e con la quale Alitalia – Cai ha in essere un accordo commerciale dal maggio 2010), sarebbe interessata a una quota di minoranza (si è parlato del 49% del capitale) della società a patto di sviluppare Malpensa come hub internazionale, cosa che entrerebbe in conflitto con gli interessi di Air France – Klm. In tutto questo in piena campagna elettorale Silvio Berlusconi lo scorso gennaio è tornato a proporre una “soluzione italiana” perché a suo parere “il paese non può non avere una compagnia di bandiera”.

Veramente non mi pare che ce l’abbia ordinato il dottore e visti i risultati sembrerebbe meglio che non ce l’avesse, o comunque non in questa forma e con questi manager. Ma forse ai rappresentanti della nostra “classe digerente” (facciano essi parte del vuoto che avanza oppure del vuoto che non vuole andare via) avere piani di rilancio credibili per Alitalia o altre grandi o piccole aziende, piuttosto che per l’intera economia nazionale, non importa molto, l’importante è fare campagna elettorale, per le soluzioni qualcuno ci penserà. Prima o poi. Forse.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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