Pensioni e quota 100: paletti e restrizioni per chi vuole lasciare in anticipo il lavoro
Il governo e la sua componente leghista lo hanno ribadito più volte: quota 100 si farà. E sarà garantita per tutti i 430mila aventi diritto. Ma con paletti che permetteranno di avere importanti risparmi per le casse dello Stato, grazie alla probabile rinuncia di alcuni dei possibili beneficiari che hanno i requisiti per la pensione anticipata (62 anni di età e 38 di contributi). Gli aventi diritto, cioè chi ha i requisiti al primo gennaio 2019, dovrebbero essere 430mila, secondo quanto riportato da Repubblica. Ma per evitare che tutti ne usufruiscano, il governo sta pensando di inserire dei paletti per la quota 100. Il primo è quello certo già da tempo e previsto sin dal varo della legge di Bilancio: chi esce prima dal mondo del lavoro ha un mancato guadagno per aver versato meno contributi. Un taglio sulla pensione che può essere anche intorno al 21-22% dell’assegno a causa della mancata contribuzione negli anni che lo separerebbero dalla pensione prevista normalmente dalla legge Fornero.
Tra i paletti ci dovrebbe essere anche il divieto di cumulo, ovvero l’impossibilità per chi va in pensione di continuare a lavorare. Secondo i più critici, però, non basterebbe a scoraggiare chi è interessato a questa possibilità, perché potrebbe sempre ricorrere al lavoro in nero. Altro limite potrebbe essere il differimento del Tfr per gli statali. L’idea di non vedersi corrispondere subito la propria liquidazione potrebbe scoraggiare i lavoratori ad andare in pensione. Con un conseguente risparmio dello Stato che, in ogni caso, spenderebbe meno – almeno per il momento – anche nel caso di differimento del Tfr, rinviando lo sborso a un secondo momento.
La quota degli scoraggiati, coloro che potrebbero rinunciare alla quota 100 pur avendone diritto, è però difficile da stimare. Si passa da ipotesi più ottimiste (per il governo) con un 30% di ritiri dal lavoro in meno. A quelle decisamente diverse secondo cui a rinunciare sarebbe solo il 10%. Nel caso in cui l’ipotesi che si realizzerà sarà quella del 30%, le uscite sarebbero 300mila. Se invece ci fosse una rinuncia solo per il 10%, parleremmo di 387mila pensioni anticipate. Seguendo queste ipotesi, comunque, il governo potrebbe risparmiare circa due miliardi di euro: per la quota 100, dunque, ne basterebbero 4,7 e non più 6,7. Altra questione da affrontare, invece, è quella delle coperture per tutto il triennio, considerando anche 2020 e 2021. Nodo non semplice da sciogliere, anche perché con le finestre (trimestrali per i privati e semestrali per gli statali) spesso si slitterebbe all’anno successivo (necessitando però di qualche finanziamento in meno per il 2019).
Il Corriere della Sera parla anche di alcuni conti che il governo starebbe facendo e dell’idea di fissare dei tetti di spesa per il 2019 non solo per la quota 100 ma anche per il reddito di cittadinanza. Il risparmio potrebbe essere intorno ai 3,5-4 miliardi di euro. Una ipotesi che porterebbe una riduzione del deficit al 2,2%. Un passo avanti che però non sarebbe sufficiente per l’Ue. Una delle ipotesi è che le finestre trimestrali per la quota 100 si allunghino nel caso in cui ci siano più domande del previsto. E si potrebbe far slittare la seconda finestra a settembre, invece che a giugno.
Il Messaggero fornisce anche un altro scenario, in parte simile. Confermando tagli da 3,5 miliardi circa su reddito e pensioni, con un risparmio dello 0,2% del Pil. Ma il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, non vuole troppe modifiche sulla quota 100 e ha raccomandato ai suoi di non annacquare la misura. Per esempio evitando che l’uscita degli statali sia troppo diversa da quella dei privati, con una differenza che non deve essere superiore ai tre mesi.