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Pensioni

Pensioni, come cambia la quota 100 e chi potrà lasciare il lavoro in anticipo

Poche certezze e tanti dubbi su ciò che il governo farà in tema di pensioni con la legge di bilancio: ancora da definire i requisiti della quota 100, che dovrebbe essere riservata solamente a chi ha almeno 38 anni di contributi versati (ma si valutano anche altre opzioni). Il governo studia la possibilità di introdurre anche la quota 41.
A cura di Stefano Rizzuti
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Con l’approvazione della nota di aggiornamento al Def da parte del Consiglio dei ministri il governo ha iniziato a mettere in campo lo smantellamento della riforma Fornero in tema di pensioni. Ma, ancora oggi, rimangono dubbi sui criteri che verranno applicati per il ritiro dal mondo del lavoro, anche in funzione della cifra stanziata col Def (7 miliardi di euro), probabilmente non sufficiente a fare tutto ciò che l’esecutivo vorrebbe realizzare. Il nodo cruciale è quello della cosiddetta quota 100. Dovrebbe essere garantita la possibilità di andare in pensione a 62 anni e con 38 di contributi versati. Ma non si sa ancora se tutte le altre opzioni che permettono di arrivare alla quota 100 (sommando età anagrafica e anni di contributi) possano essere applicate.

Da una parte c’è chi vorrebbe garantire l’uscita dal lavoro ogni volta che si arriva a quota 100; dall’altra c’è chi spiega che sarebbe troppo costoso e i 7 miliardi previsti non basterebbero. Difficile, ad oggi, sapere se la quota 100 verrà applicata anche per chi ha 63 anni e 37 di contributi, o 64 anni e 36 di contributi. Come spiega la Repubblica, il paletto più probabile sembra essere quello di bloccare il requisito contributivo a 38 anni, escludendo le altre opzioni. Ma mantenendo la possibilità di andare in pensione con quote superiori ai 100: per esempio, con 38 anni di contributi e 63 di età, e così via. Inoltre, spiega ancora Repubblica, chi andrà in pensione non potrà cumulare un assegno con proventi derivanti da altre attività.

La quota 41

Oltre alla quota 100 il governo vorrebbe introdurre anche la quota 41. Un principio diverso, grazie al quale chi ha versato 41 anni di contributi può andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica. Il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, lo ha promesso in campagna elettorale. Il contratto di governo prevede questo punto. Ma nel Def non si parla di quota 41. Nonostante questo, l’ipotesi che sia realizzabile resta in piedi. Il governo sta valutando alcune stime secondo cui in pensione con questo principio potrebbero andare tra i 30 e i 40mila lavoratori. Non così tanti: motivo che potrebbe lasciare ben sperare chi si augura di ritirarsi dal lavoro grazie a quota 41.

L’Ape sociale

Rimane aperta la questione dell’anticipo pensionistico, introdotto dal governo Gentiloni e che sta per scadere. Stando ai calcoli di Repubblica, per confermarlo servirebbero circa 600 milioni di euro. Anche in questo caso, ad oggi ci sono poche certezze. Si parla anche dell’ipotesi che il governo lo rimpiazzi con i fondi esubero di categoria, incentivando così le aziende a pre-pensionare i lavoratori con più difficoltà, per esempio perché malati o con figli disabili, ma che comunque non raggiungerebbero i requisiti previsti dalla quota 100 o dalla quota 41.

Opzione Donna

Allo stesso modo, ancora poco di certo su Opzione Donna, la misura che consente alle lavoratrici di andare in pensione in anticipo, con 57 anni di età e 35 di contributi versati. Per ora sembra che non sia previsto un rinnovo di questo provvedimento, ma il governo sta sicuramente riflettendo sul tema considerando le difficoltà per alcune donne – che hanno avuto carriere discontinue – di raggiungere la quota 41 e la quota 100.

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