La fine del matrimonio pone sempre mille problematiche che non sempre si riescono a risolvere bonariamente, infatti, nella migliore delle ipotesi, i coniugi riescono a trovare un'intesa su tutto, (risparmiandosi ulteriori stress emotivi ed una lunga causa economicamente impegnativa), nella peggiore inizia una lunga causa per la separazione.
I punti di maggiore attrito tra i coniugi riguardano quasi sempre queste problematiche:
1) la gestione dei figli, anche se l'affidamento condiviso ha limitato la problematica solo alla "collocazione" dei figli presso i diversi genitori (inoltre, sul punto è opportuno segnalare che la recente riforma del codice civile ha raggruppato in una serie di articoli tutte le norme che regolano la responsabilità genitoriale dopo la fine del matrimonio);
2) l'addebito della fine del matrimonio (cioè l'indagine per individuare i motivi della fine dell'unione coniugale e l'eventuale responsabile della stessa)
3) la quantificazione dell'assegno di mantenimento al coniuge debole e/ ai figli (maggiorenni o minorenni)
4) l'assegnazione e/o il diritto di abitazione della casa coniugale (questione legata alla convivenza dei figli).
E' inutile nascondere che, come già detto, se i coniugi non riescono a trovare un'intesa sui punti sopra evidenziati, arrivando, così, ad una separazione consensuale, inizia una vera e propria guerra. E, in questa lotta senza esclusioni di colpi, uno dei campi di battaglia, dove si sperimentano sempre nuovi sistemi bellici, è quello inerente la quantificazione del patrimonio dell'altro coniuge (di solito colui che deve versare l'assegno di mantenimento).
In questo contesto, la vita reale riserva sempre molte sorprese ed è una fucina di innovazioni; basta pensare all'attività (para investigativa) di ambo i coniugi diretta a identificare, non solo il patrimonio direttamente intestato all'altro coniuge (case, conti correnti ecc.), ma, soprattutto, all'attività diretta a scovare il patrimonio occulto del coniuge (sul punto basta pensare alle intestazioni fittizie di beni a terzi) o all'attività diretta a trovare il patrimonio "indiretto" dell'altro coniuge (basta pensare alla titolarità dei conti correnti cointestati). Se queste sono armi di attacco, arma di difesa è la violazione del diritto alla privacy.
In questa attività di "trova" il bene ed "imputa" il bene al patrimonio del coniuge al fine di aumentare la quantificazione dell'assegno di mantenimento, qualche riflessione meritano le partecipazioni sociali, non tanto per la questione relativa alla titolarità delle azioni o delle quote o per l'altra questione relativa al valore delle azioni o quote (si tratta di punti abbastanza stabili ai fini della separazione e del divorzio), ma rilevante diventa un altro aspetto, infatti, la partecipazione ad una società può essere importante per le somme che possono essere presenti all'interno del patrimonio della società (indipendentemente dal capitale sociale) e che potrebbero essere riferibili (direttamente o indirettamente) al socio ed essere imputabili al patrimonio personale (sul punto basta pensare agli utili della società non distribuiti, alle riserve o ai fondi e ai versamenti effettuati dai soci).
Un discorso approfondito sul punto dovrebbe seguire due differenti analisi: una relativa alle società di persone e l'altra inerente alle società di capitali, inoltre, effettuata questa distinzione, occorrerebbe anche analizzare la diversa normativa relativa al diritto agli utili nei diversi tipi sociali (se tale diritto agli utili sorge immediatamente con l'approvazione del bilancio oppure se è necessaria una delibera di distribuzione degli utili). Senza considerare che per giungere a delle conclusioni corrette deve anche essere analizzata la titolarità del patrimonio sociale nelle società prive di personalità giuridica o con personalità giuridica.
Limitando l'analisi alle società di capitali è possibile dire che, in teoria e in generale, nelle società di capitali il patrimonio sociale appartiene alla società di capitali avendo queste ultime (srl, spa) una piena personalità giuridica distinta dalla personalità del singolo socio, quindi, il socio (nella sua veste di coniuge) non potrebbe vantare diritti sul patrimonio sociale e il patrimonio sociale non potrebbe essere imputato al patrimonio del singolo socio, posto che (fuori dalle ipotesi di intestazione fittizia di beni) il patrimonio della società è direttamente riferibile alla società e non al socio (coniuge).
Se questa è la regola generale, occorre, però, anche valutare se sussistono delle eccezioni.
Utili non distribuiti. Alla domanda se gli utili societari non distribuiti possono considerarsi (o meno) come patrimonio del socio (che si sta separando) occorre sottolineare che la risposta dipende dalla normativa relativa agli utili in ogni singolo tipo sociale, infatti,
– se il diritto agli utili sorge immediatamente con la delibera di approvazione del bilancio è evidente che si tratta di somme detenute da terzi (società), ma rientranti, a pieno titolo, nel patrimonio del socio e imputabili al suo patrimonio nel caso di separazione o divorzio. Una volta che il socio è diventato titolare degli utili (anche se non ancora distribuiti) l'eventuale decisione del socio di accantonare (lasciare in deposito presso la società) gli utili per un futuro utilizzo, (es. un aumento di capitale), non dovrebbe incidere sulla soluzione proposta, in quanto si sarebbe in presenza solo un mero deposito che non incide sulla proprietà delle somme (utili), infatti, gli utili restano di "proprietà" del socio; la soluzione non dovrebbe neppure variare se il socio (coniuge) decide di effettuare un versamento a fondo perduto con il conseguente passaggio del proprietà di denaro alla società), in quanto il versamento a fondo perduto potrebbe essere usato come prova per individuare il livello di spesa del socio (coniuge) ed indirettamente il suo reddito e patrimonio;
– se, invece, il diritto agli utili sorge solo nel momento in cui c'è una delibera di distribuzione degli utili, è evidente che tali somme sono e restano di proprietà della società e non potrebbero essere riferibili al socio (coniuge) e non potrebbero essere un elemento per determinare il suo patrimonio o reddito in caso di separazione o divorzio.
Riserve, fondi, accantonamenti creati con versamenti dei soci. Altro elemento che potrebbe essere imputabile al socio ed inseriti nel suo patrimonio indiretto sono le riserve e/o fondi e/o accantonamenti creati in seguito a versamenti diretti dei coniugi (es. accantonamento per futuri aumenti di capitale), in tali casi o le somme sono di proprietà del socio e la società ne ha un mero deposito e, allora, si tratta di somme usabili in sede di separazione e divorzio. Diversa, invece, sarebbe la sorte dei versamenti effettuati dal socio alla società (a fondo perduto, senza obbligo di restituzione) in cui la proprietà della somma passa dal socio alla società, in tali casi questa riserva sarebbe solo la prova della capacità di spesa o di investimento del socio (usabile in sede di separazione e divorzio).
Riserve, fondi, accantonamenti creati con proventi dell'attività della società. Altro elemento che potrebbe essere imputabile al socio (nel suo patrimonio indiretto) sono le riserve e/o fondi e/o accantonamenti da proventi economici della società, questo tipo di riserve – accantonamenti non potrebbero essere "imputabili" al socio posto che si tratta di beni della società (intesa come persona giuridica) e non del socio.
Capacità di spesa del coniuge – socio. Infatti, altro elemento del patrimonio indiretto è l'attitudine agli acquisti del coniuge e/o la spesa del coniuge, sia se si intende la spesa come investimento, sia se vede la spesa come indice della capacità di reddito (eventualmente occulto).
Cass. civ. sez. I del 8 gennaio 2014 n. 130 in pdf