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Paternò, lettera alla mafia: “Dovete andare via, non c’è posto per voi”

In una lettera aperta, la città di Paternò si rivolge alla criminalità organizzata: “Caro mafioso, te ne devi andare, qui non hai più cittadinanza”. E ancora: “Non vogliamo più sentire parlare di mafia, di boss e di inchini”.
A cura di Fabio Giuffrida
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Il doppio inchino al boss ha indignato tutta l'Italia e soprattutto il comune di Paternò dove, durante la processione di Santa Barbara, i portatori di due cerei avrebbero eseguito, sotto casa del boss, un "dondolamento" reverenziale sulle note de "Il Padrino". L'amministrazione comunale, come vi avevamo anticipato, ha annunciato che, attraverso un regolamento comunale, "impedirà ai pregiudicati di partecipare alla processione" e istituirà un percorso obbligatorio per i cerei votivi "onde evitare che vaghino liberamente per le vie cittadine". L'Amministrazione revocherà immediatamente tutti i provvedimenti che assegnano il contributo economico ai portatori dei cerei autori del gesto (ogni "varetta" guadagna circa 4.000 euro) nonché potrebbe agire in giudizio contro coloro che hanno danneggiato l'immagine della città. "Non accettiamo che l'immagine della città possa essere sporcata dalle azioni di una minoranza legata ad una cultura, quella mafiosa, che rappresenta un cancro da estirpare con ogni mezzo" è il commento del sindaco Mauro Mangano. Proprio stamattina molti giovani si sono presentati con striscioni ("Paternò non si inchina") per dire no alla mafia e alla cultura mafiosa.

La lettera aperta

A nome della città, l'assessore alla Cultura Valentina Campisano, ha scritto una lettera indirizzata alla mafia:

Caro mafioso, volevo avvertirti che, se pensi di potere ancora spadroneggiare nella nostra città, ti sbagli di grosso. Se fino a qualche anno fa la società civile rimaneva sbigottita e troppo silente di fronte ai tuoi atti osceni, oggi, invece, siamo pronti a reagire in difesa di tutta la città. 

Vedi caro mafioso, noi siamo in tanti e non vogliamo più sentire parlare di mafia, di boss, di inchini, di baci e di soprusi. Vogliamo parlare del nostro territorio, ricco di risorse, di storia, di tradizione e di cultura. Vogliamo parlare della gente che ogni giorno lavora onestamente e contribuisce alla crescita della nostra città. 

Vogliamo parlare degli imprenditori che denunciano il pizzo, degli insegnanti che educano i nostri bambini alla legalità […] Vogliamo parlare di arte, di musica, di libri, di storia, di tradizioni, di cultura.

E per fare questo, caro mafioso, tu te ne devi andare. Noi non possiamo più tollerarti. Non possiamo più accettarti come un fatto, sì spiacevole, ma comunque inevitabile. Siamo decisi a resistere e qualunque intimidazione dovessimo ricevere otterrebbe soltanto l’effetto di moltiplicare la nostra determinazione contro ogni sorta di sopraffazione.

Tu non ci rappresenti caro mafioso […] Il tuo gesto insulso, fatto nel nome della nostra Barbara, ha suscitato in noi rabbia e repulsione, contro di te e contro tutto quello che rappresenti e non tollereremo più che si dica “tanto è sempre stato così”, perché questo è il momento di cominciare a cambiare le cose.

Te ne devi andare, caro mafioso, qui non hai più cittadinanza. Qui ci devono abitare i contadini che si spaccano la schiena, i commercianti che tirano su la saracinesca alle 7 del mattino, i bambini che vanno a scuola per avere un futuro, le donne che lavorano e tornano a casa stanche e devono badare pure alla casa. Caro mafioso, ti sei accorto di quanto è bella l'Etna che sovrasta il paese, di quanto luccica il nostro barocco, di quanto profuma la nostra campagna, di quanto è viva la nostra gente.

Cosa c'entri tu con tutto questo splendore? Cosa c'entra la mafia con la nostra Paternò? Cosa c'entra la nostra Barbara, la nostra fede, con la violenza, con la morte, il malaffare, il pizzo, la corruzione che hai, per anni, imposto alla nostra terra?

Non c'è più posto per te […] Te lo diremo in tanti oggi per l'ennesima volta e ci auguriamo di cuore che sia l'ultima. La fine di un incubo e l'inizio di una nuova alba, quella del riscatto.

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