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Opinioni

Passera: in Italia tasse troppo alte per chi le paga

Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ammette: in Italia troppe tasse per chi le paga. Inutile però illudersi, difficilmente la “ricetta” per risanare il Belpaese potrà cambiare a breve…
A cura di Luca Spoldi
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Roma Incontra - la crisi passera' ?

Agenzia cerca redattori: si offre rimborso spese. Un annuncio così solo qualche anno fa non avrebbe avuto senso e avrebbe procurato più danni che benefici all’incauto inserzionista, ma ormai non è più un caso isolato nel panorama a dir poco depresso del mercato del lavoro italiano e poco importa che stiamo parlando di editoria, comunicazione, grafica, pubblicità o qualsivoglia altro settore di attività. Persino gli annunci di ricerca di venditori e agenti, tutti rigorosamente solo a provvigioni, ossia tutti rigorosamente solo costi variabili (perché con questi chiari di luna nessuna impresa né vuole né molto spesso può più assumersi costi fissi) iniziano sempre più spesso a nascondere forme di collaborazione-capestro, cui la “generazione delle partite Iva” si sta purtroppo abituando, iniziando a disinvestire sulla formazione di nuovo capitale umano, ossia sulla propria istruzione.

E’ un campanello d’allarme che alcuni tra gli osservatori più acuti come Mario Seminerio già hanno delineato, notando come di questo fenomeno (in atto per la verità da anni, ma accentuatosi nell’ultimo anno e mezzo), chiamato dai media “fuga di cervelli”, soffrano anche altri paesi del Sud Europa attualmente stretti nel doppio maglio del credit crunch e della recessione economica indotta (o quanto meno accentuata) dal rigorismo fiscale “moralista” imposto dall’egemone tedesco a tutta Europa.  Tanto che sempre più si assiste, in Spagna come in Italia, ad una fuga di giovani laureati e dottorandi all’estero, visto che le prospettive per chi resta in Italia (e in generale nei moribondi PIIGS europei) sono tra il deprimente e lo spaventevole. Ben altre prospettive hanno paesi emergenti come Cina, Brasile o Indonesia: secondo l’Ocse, anzi, l’attuale quadro macroeconomico porta a prevedere che nel 2016 il Pil della Cina supererà quello degli  Stati Uniti, mentre la somma dei Pil di Cina e India sarà superiore a quella dei paesi del G7 entro il 2025.

Oltre agli Usa faranno le spese di questo riequilibrio economico mondiale  l’eurozona e il Giappone e, che verranno scavalcati anche da mercati emergenti come il Brasile e l’Indonesia. Per inciso il Pil giapponese col -0,9% segnato nel terzo trimestre dell’anno è ormai in piena recessione (-3,5% il dato su base annua), come dire che non ci stiamo confrontando coi migliori, almeno in termini di crescita (e infatti in entrambi i casi abbiamo, se non cambieranno le politiche di riferimento, una prospettiva di crisi almeno decennale alimentata da una spirale deflazionistica che ha congelato l’economia giapponese, con la sola valvola di sfogo delle esportazioni, e congelerà quelle del Sud Europa, sempre solo sperando in compensazioni parziali legate alla tenuta dell’export). L’Italia in questo quadro si avvia ad essere sempre più un paese di vecchi, nostalgici e ideologi come sostengo, non ascoltato, da mesi.

C’è una via di fuga? A livello nazionale probabilmente no: non contiamo abbastanza nel consesso mondiale (né europeo) per poter imporre alcun cambio di rotta (e lo si è visto anche con Mario Monti, che pure gode di una stima personale infinitamente superiore al suo predecessore Silvio Berlusconi, cui non a caso erano indirizzati i sorrisi ironici di gran parte dei leader mondiali in occasione di qualsivoglia incontro di capi di stato e di governo). A meno che non si riesca a fare blocco tutti i PIIGS con qualche altro paese europeo come la Francia (e il Belgio) che pur non essendo ancora nella lista “dei cattivi” è ugualmente in crisi da tempo. Perché i tedeschi (e i loro alleati del Nord Europa, dalla Norvegia alla Danimarca, dall’Olanda alla Svezia) si convincano che è meglio anche per loro allentare uno o entrambi i due “giochi” (fiscale e creditizio) accettando misure per mutualizzare il debito e l’impegno a ripagarlo si dovrà peraltro attendere probabilmente ancora una decina di mesi, sino alle elezioni politiche tedesche del settembre 2013.

Nel frattempo è auspicabile che gli Stati Uniti non si limitino a “spronare” gli europei a risolvere la crisi ma trovino il tempo (anche se come già detto Barack Obama i maggiori problemi al momento ce li ha in casa, dovendo evitare in tutti i modi un “fiscal cliff” rispetto al quale l’austerity europea sembrerebbe poca cosa) per coordinarsi, quanto meno a livello di banche centrali e di gestione dei cambi, con l’Europa, il Giappone e la Cina. Alla fine il pallino è probabilmente in mano più a Pechino che ad altri: entro la prossima settimana il diciottesimo congresso del Partito comunista  dovrebbe designare il successore di Hu Jintao (dovrebbe trattarsi di Xi Jinping), cui spetterà il compito di far nuovamente accelerare, gradualmente e puntando più sulla domanda interna che sulle esportazioni, la crescita cinese. Nel frattempo sarà utile e bene in Italia cercare più di riqualificare la spesa pubblica che di procedere a ulteriori tagli (e assolutamente cercare di evitare ulteriori incrementi di imposte, come invece sta ventilando qualcuno ipotizzando ulteriori imposizioni patrimoniali in aggiunta a quelle già esistenti ed “erga omnes” come l’Imu e l’imposta di bollo, maggiorata, su depositi e conti correnti) e appena possibile tornare a investire soprattutto in innovazione.

Se poi la consapevolezza che oggi sembra dimostrare il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, circa il fatto che nel Belpaese “le tasse sono troppe per chi le paga, devono essere riorganizzate e ridefinite” e che sarebbe il caso di creare “una sorta di premio fiscale per le società che innovano, che internazionalizzano” (anche se non è chiaro da dove possano essere reperite le risorse necessarie), non si limitasse alle affermazioni di principio ad uso dei media ma si traducesse in atti concreti (ad esempio iniziando a semplificare e alleggerire il carico fiscale via via che si recupera base imponibile), sarebbe finalmente una rivoluzione dopo decenni in cui ad ogni recupero d’efficienza (e di evasione d’imposta) da parte della pubblica amministrazione è sempre corrisposto non un taglio delle tasse ma un nuovo aumento delle spese.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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