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Il primo chef stellato della storia? Si chiamava Apicio e nell’antica Roma cucinava struzzi e pappagalli

Stravaganti e forse non proprio salutari i piatti di Marco Gavio Apicio erano famosi in tutta Roma, tanto da essere in seguito raccolti e tramandati nel primo ricettario della storia: dal pavone al pappagallo, passando per vini speziati e salse di interiora di pesce, ecco le ricette del primo chef della storia.
A cura di Federica D'Alfonso
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Mosaico romano rinvenuto a Pompei e oggi conservato presso l'Hermitage di San Pietroburgo.
Mosaico romano rinvenuto a Pompei e oggi conservato presso l'Hermitage di San Pietroburgo.

Lingua di pavone, utero di scrofa e carni di struzzi e pappagalli serviti con frutta secca e spezie: le abitudini culinarie degli antichi romani erano, se non proprio gustosissime, quantomeno ricche di fantasia. In realtà i lussi e le stravaganze erano ad uso e consumo di pochi: pane, uova bollite e legumi erano i piatti principali di una dieta per la maggior parte povera, ma c’era chi non si rassegnava alla semplicità e amava trasformare ogni pietanza in una complessa opera d’arte. È il caso ad esempio di Apicio, il primo gastronomo della storia ad aver tramandato un libro di ricette che possiamo leggere ancora oggi.

Pappagallo arrosto e vino alle rose: le ricette di Apicio

Considerato da molti contemporanei un pessimo esempio in fatto di moralità, è grazie a Marco Gavio Apicio che oggi sappiamo qualcosa in più circa la cultura del cibo nell’antica Roma. Sono infatti attribuite a lui la maggior parte delle ricette contenute nel primo libro di cucina della storia, il De re coquinaria, risalente al IV secolo d. C.: Marco Apicio doveva essere una vera e propria autorità in fatto di gastronomia se, a circa tre secoli dalla sua morte, qualcuno decise di riunire in un unico libro tutta la sua saggezza culinaria.

Qua e là nel testo compaiono alcune stravaganze che lo avevano reso sgradito ai suoi contemporanei più morigerati: dai talloni di cammello alle lingue di usignolo o di pavone intinte nel “garum”, una raffinata salsa a base di interiora di pesce, passando per il pappagallo arrosto, Apicio sapeva davvero come soddisfare ogni palato. Ma al di là delle ricette più complesse e dispendiose, questo chef ante litteram fornisce anche utilissimi suggerimenti per la conservazione del pesce e della carne, oltre a svelare il segreto dell’ottimo vino speziato per cui era famoso.

Scopriamo così che il modo migliore per addolcire la carne troppo salata è quello di cuocerla nel latte e successivamente nell’acqua, mentre il segreto per conservare più a lungo il pesce fritto è quello di immergerlo, subito dopo la cottura, in un bagno di aceto. Il procedimento per preparare un gustoso vino alle rose è spiegato nei minimi dettagli, dalla macerazione dei petali (rigorosamente asciutti, senza rugiada) all’aggiunta di mele, così come quello dell’altrettanto invitante vino speziato, arricchito con pepe e zafferano in quantità.

Un pessimo esempio di moralità: le critiche di Seneca e Marziale

Marco Apicio doveva essere davvero una superstar dei fornelli se addirittura Giovenale, Tacito, Seneca e Marziale lo citano frequentemente nelle proprie opere: molti lo scelgono quale simbolo della decadenza dei costumi e della moralità romana, dedita più ai piaceri della tavola e della carne che alle responsabilità civili. Seneca lo definisce addirittura un “cattivo esempio per la gioventù” e Plinio il Vecchio lo racconta come “il più grande tra tutti gli scialacquatori”.

È forse a causa della cattiva fama conquistata fra i contemporanei che la biografia di Apicio si è arricchita di particolari esuberanti e a tratti incredibili: leggenda vuole che nutrisse le murene con le quali preparava i suoi banchetti con la carne degli schiavi e che, pur essendo estremamente ricco, abbia dilapidato tutto il suo patrimonio con gli eccessi del bere e del mangiare. Fu proprio dopo aver speso tutto il denaro in banchetti, secondo Marziale, che Apicio decise di togliersi la vita col veleno.

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