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Padoan: il Fiscal Compact va ammorbidito

Anche Pier Carlo Padoan si accorge che il quadro macroeconomico è peggiorato e che il Fiscal Compact andrebbe ammorbidito. Sarà difficile far cambiare idea alla Germania ma occorre provarc: anche Berlino, oltre all’Italia, potrebbe trarne giovamento…
A cura di Luca Spoldi
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Altro che luce in fondo al tunnel, altro che ripresa che sta arrivando: con colpevole ritardo anche il governo italiano prova a cambiare registro e per bocca del suo ministro all’Economia a finanze, Pier Carlo Padoan, ammette che “il Fiscal Compact è stato concepito in un contesto nel quale il quadro macroeconomico era più favorevole (di quello attuale, ndr) e di conseguenza andrebbe tenuto conto della diversità del quadro macro e delle circostanze eccezionali, soprattutto di alcuni Paesi”. Il perché di questa improvvisa “presa di coscienza” della realtà che porta Padoan, intervenuto alla Camera durante la Conferenza interparlamentare sul nuovo Patto di stabilità europeo, a constatare che “in questo contesto tutte le manovre sono più difficili”, anche se l’Italia intende continuare a perseguirle, è chiaro.

L’Italia sta negoziando con la Commissione Ue un rinvio al 2017 (rispetto all'obiettivo attuale che lo fissa entro il 2015) del pareggio di bilancio. Un allungamento dei tempi di consolidamento fiscale che nelle intenzioni del governo permetterebbe di evitare nel 2015 una correzione da 7-8 miliardi di euro anche se, ribadisce Padoan (per tranquillizzare la Germania e gli euro burocrati), le riforme strutturali restano necessarie, purché il cammino da fare venga “collocato in un quadro diverso, meno stringente”. Bene, complimenti ministro, forse ha letto alcune delle riflessioni che ho pubblicato, come decine di altri più illustri colleghi, su queste pagine negli ultimi due anni, o forse si è svegliato stamattina e all’improvviso ha scoperto che il sole sorge a Est nonostante gli sforzi della nostra “illuminata” classe dirigente per dire che sarebbe auspicabile che sorgesse a Ovest.

O semplicemente Padoan fiuta maretta all'interno della maggioranza e al di là delle “guasconate” del nostro premier, Matteo Renzi, ha pensato bene di ricordare a tutti che poiché le riforme strutturali producono sì effetti duraturi, ma non immediati, le riforme che hanno successo (politico quanto meno) “sono quelle che possono contare sul consenso”. Chissà se questo vuol dire che si smetterà di accapigliarsi su questioni “di bandiera” che però nel concreto appaiono irrilevanti ai fini della ripresa economica, come l’abolizione (o meno) dell’articolo 18, che ormai riguarda una minoranza di lavoratori e che di certo non porterà ad un’ondata di investimenti e assunzioni se non si troverà il modo di ridurre il carico fiscale sia sul lavoro sia sul reddito d’impresa.

Di certo, come ammette lo stesso Padoan, la combinazione di bassa crescita, bassi investimenti, alta disoccupazione e bassa o nulla inflazione che caratterizza l’Europa è potenzialmente un cocktail micidiale e occorre essere un politico tedesco per non vederlo e continuare a mettere i bastoni nelle ruote di chi come Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, prova a svolgere quanto meno un ruolo di “supplenza” tramite una politica monetaria ultra rilassata che presenta sicuramente rischi e potenziali conflitti d’interesse ma è per ora l’unica boccata d’ossigeno che ha evitato alle banche di stringere ancora più i cordoni della borsa. Bene, bravo, bis: Padoan si accorge anche che per la crescita “non ci sono scorciatoie” e occorre “agire da tutti i lati: dal lato dell’offerta e dal lato della domanda”, mettendo in campo “in modo coordinato tutti gli strumenti che i governi hanno a disposizione”.

Ma come riuscire a riequibrare il mix di politica economica e fiscale agendo meno sul versante dell’austerità fiscale e più sugli stimoli alla domanda e dunque alla crescita, senza dare l'impressione di non voler tagliare alcuna spesa nè riformare nulla di realmente strutturale? L’idea è quella di chiedere un riequilibrio di tutti gli squilibri, anche da parte dei paesi in surplus (come la Germania) che dovrebbero simmetricamente “aggiustare” i propri conti. Ma chiedere ad Angela Merkel di far crescere la spesa pubblica se pure ha in linea teorica una evidente valenza, rischia di scontrarsi contro un muro di cortesi “nein”. Sarà, Ma chiedere ad Angela Merkel di far crescere la spesa pubblica se pure ha in linea teorica una evidente valenza, rischia di scontrarsi contro un muro di cortesi “nein”.

Eppure anche la Germania avrebbe di che guadagnarne, perchè il paese ha bisogno di investire in infrastrutture, per dire, cosa che potrebbe portare commesse interessanti per tutte le aziende europee, comprese quelle italiane purché siano in grado di cogliere la palla al balzo. Un punto quest’ultimo su cui mi permetto di avere qualche dubbio, dato che per cogliere le occasioni di un mercato in espansione occorre aver per tempo programmato opportuni investimenti in innovazione e in capitale umano oltre che avere i necessari mezzi finanziari alle spalle. Qualche segnale tuttavia sta arrivando di quello che potrebbe essere un processo di “riavvio” virtuoso dell’economia europea e contemporaneamente una riduzione delle troppe differenze micro e macro economiche che negli ultimi quattro anni sono andate crescendo anziché calando.

Ad esempio qualche giorno fa Cnh Industrial ha annunciato che Iveco Bus fornirà 400 autobus Crossway e Crossway LE (Low Entry) a DB FuhrparkService (principale società tedesca di trasporti, del gruppo Deutsche Bahn), tra il 2015 e il 2016, con la possibilità di un’ulteriore fornitura di 310 veicoli tra il 2017 e il 2018. Un segnale che si aggiunge al dato dell’andamento dell’export italiano verso la Germania nei primi sette mesi dell’anno, periodo che ha registrato un incremento del giro d’affari tricolore del 3,8% rispetto all’analogo periodo del 2013, per complessivi 29,1 miliardi di euro. Più dell’Italia riescono a esportare in Germania Olanda (47,9 miliardi di euro nei primi sette mesi dell’anno, in calo del 2,2% annuo) e Francia (39,5 miliardi, +4,4%). Avrà l'Italia la forza di ottenere un ulteriore "riequilibrio" macro e micro economico? Chiunque abbia a cuore il progetto europeo non può che sperarlo, a patto che lo spirito riformista non rimanga lettera morta ancora una volta: diversamente non ci sarebbero ulteriori tempi di recupero.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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