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Otto anni per una birra: i danni della legge sull’omicidio stradale, puro populismo penale

Il primo caso giudiziario nosense figlio della nuova legge sull’omicidio stradale è arrivato: Diciannove anni, neopatentato, improvvisamente si schianta con la sua auto contro un muretto. Muore uno dei passeggeri, uno dei suoi migliori amici. Alcoltest: viene rilevato un tasso alcolemico dello 0,4% e il ragazzo viene incriminato: l’accusa è di omicidio stradale. Rischia 8 anni di carcere.
A cura di Charlotte Matteini
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Foto di repertorio.
Foto di repertorio.

"Tutti devono riconoscere che le pene fino a oggi erano assolutamente troppo morbide. Se questa legge servirà banalmente a educare a stare attenti e far capire che non ci si mette alla guida ubriachi o drogati e a capire che la vita è un valore, avremo reso l'Italia un paese più giusto e più degno", dichiarava Matteo Renzi, firmando la nuova legge che istituiva il reato di omicidio stradale, il 9 marzo scorso. E poi, ancora: "Questa legge ha il preciso obiettivo di fermare criminali di questo tipo che si mettono alla guida senza il minimo rispetto per la vita", dichiarava invece Domenico Musicco, presidente dell'Associazione vittime di incidenti stradali.

Siracusa, sabato notte: tre amici percorrono la strada provinciale che collega Carlentini a Brucoli. All'improvviso, l'incidente: la Bmw 320d guidata dal diciannovenne e neopatentato Emanuele Giuga si schianta, finendo la sua corsa contro un muretto a secco, all'altezza di contrada Torre. Emanuele, il guidatore, si è salvato. L'amico diciassettenne, anche: ricoverato all'ospedale di Lentini, non è in pericolo di vita. Per Seby Miceli, 18 anni, compagno di scuola dei due ragazzi, non c'è stato nulla da fare. Morto sul colpo. Quando i carabinieri giungono sul posto per effettuare i rilievi del caso, trovano Emanuele visibilmente scosso. Sotto choc. Piangeva, senza riuscire a spiegare che cosa fosse successo, come fosse avvenuto l'incidente, quali fossero state le cause. Poi, l'alcoltest di rito: rileva un tasso alcolemico di 0,4 grammi per litro. Al di sotto del limite di legge, che prescrive in 0,5 grammi per litro la soglia massima per potersi mettere alla guida di un mezzo a motore.

Non per Emanuele, però, che risultando neopatentato ha un obbligo di legge diverso da rispettare: tasso pari a zero per i primi 3 anni dal conseguimento della patente. Per una birra, il ragazzo viene trattato alla stregua di un delinquente e incriminato. Non più un semplice incidente, quindi: in seguito alla rilevazione del tasso alcolemico, l'accusa si trasforma in omicidio stradale. Emanuele viene dapprima trasportato in ospedale per effettuare le medicazioni di cui necessitava, poi in caserma ad Agusta: arrestato in flagranza di reato, come prescrive la nuova legge sull'omicidio stradale, successivamente convertito in detenzione domiciliare. Emanuele dovrà quindi affrontare un processo e il reato di omicidio stradale prevede pene che vanno da un minimo di 8 a un massimo di 18 anni, in caso di omicidio stradale plurimo, oltre alla revoca della patente e all'impossibilità di conseguirla per almeno 15 anni. Per un incidente, un evento non provocato volontariamente, una tragedia che lo stesso Emanuele sta vivendo sulla propria pelle.

Numerosi gli esperti che nel corso dell'iter legislativo avevano più volte lanciato l'allarme: il reato di omicidio stradale è un mostro giuridico, non mancheranno i casi giudiziari kafkiani. E infatti, i casi kafkiani sono arrivati, mostrando chiaramente la debolezza di una norma che trascende la legittimità costituzionale e sovverte il principio che impone di comminare una pena, detentiva o meno, che miri alla rieducazione del condannato. Secondo l'ordinamento giudiziario italiano, la pena deve infatti mirare al reinserimento in società del reo, non ha una semplice funzione punitiva. Nel caso dell'omicidio stradale, la legge è fondata sul principio di vendetta. Nè più, né meno. E la giustizia, per essere considerata tale, non può essere animata dal senso di vendetta. Dalla Treccani, il significato di "vendetta" appare piuttosto chiaro: "Danno materiale o morale, di varia gravità fino allo spargimento di sangue, che viene inflitto privatamente ad altri in soddisfazione di offesa ricevuta, di danno patito o per sfogare vecchi rancori". La vendetta è, tuttalpiù, l'esatto opposto di ciò che dovrebbe invece rappresentare la giustizia.

Se può essere sicuramente comprensibile che familiari e amici della vittima non abbiano la lucidità per agire in maniera razionale e non farsi trasportare da rivalsa e ritorsione, altrettanto non può essere concesso a chi viene pagato per amministrare il potere legislativo e giudiziario e che dovrebbe applicare i principi giuridici propri del nostro ordinamento, non scrivere e approvare leggi che andranno a sovvertirli, tutto per acquisire maggior popolarità e, di conseguenza, più voti. Una legge, quella sull'omicidio stradale, approvata per puro spirito di propaganda politica. L'omicidio stradale altro non è che la perfetta rappresentazione del populismo penale, come lo definì il senatore Luigi Manconi.

Pur di appagare la sete di vendetta del popolo, cercando di accreditarsi agli occhi dei cittadini come novelli paladini della giustizia, si preferisce generare mostri giuridici di questo tipo, che fermarsi a spiegare per quale motivo no, non è affatto da Paese civile trasformare forzatamente quello che è e rimane un evento colposo in volontario e doloso.  Tanto, quanti sono gli elettori che davvero approfondiscono la questione e non si fanno abbindolare dalla godereccia presentazione di Governo che descrive l'omicidio stradale come una legge che finalmente rende l'Italia un Paese civile? Una norma che non ha nulla di deterrente, che non si fonda sul principio della prevenzione del reato, ma anzi ha come unico scopo l'azione repressiva. Una norma che sovvertendo i principi del nostro ordinamento, non porta il Paese verso uno stato avanzato di civiltà, tuttalpiù la trascina nel baratro del medioevo giuridico.

Il deputato del Partito Democratico Paolo Gandolfi, tra i promotori della legge sull'omicidio stradale, scrive a proposito di questo articolo:

https://www.facebook.com/paolo.gandolfi/posts/10207912107813630

Alle critiche mosse dall'On. Paolo Gandolfi in merito alle tesi da me riportate in quest'articolo, rispondo specificando che i calcoli relativi alla pena che rischia il ragazzo implicato nello specifico caso sono errati. Partendo dal fatto che già solo con lo 0,1 di tasso alcolemico, il neopatentato – che per tre anni ha il divieto assoluto di consumare alcolici prima di mettersi alla guida, come ho specificato anche io nell'articolo – automaticamente verrà indagato e processato per omicidio stradale, nel caso in cui una persona coinvolta nell'incidente da lui provocato muoia. La pena minima da cui si partirà, quindi, e verrà poi incrementata o abbassata dalle aggravanti o attenuanti che interverranno in sede di condanna, sarà di fatto pari a 5 anni. Inoltre, non ho accennato a un presunto eccesso di velocità perché non essendo state rese pubbliche le risultanze dei rilievi effettuati, non è mia abitudine fare congetture in merito a presunte violazioni del codice della strada di cui non ho contezza, tanto meno prove a sostegno.

In seconda istanza, sostenere – dopo aver approvato e fatto credere che la legge sull'omicidio stradale fosse necessaria per punire chi nel corso degli anni ha provocato incidenti, scampando alla pena detentiva – che questo ragazzo che ha provocato un incidente mortale "presumibilmente verrà condannato a 4 mesi" e che la pena sarà sospesa con la condizionale, mi pare contraddire lo spirito della legge, che è stata introdotta per inasprire le pene precedentemente esistenti, mentre invece stando ai conti fatti dall'Onorevole non sembra.

L'articolo, infine, non deborda affatto, sul piano politico, ma critica una legge dal punto di vista giuridico. Proporre di sanzionare un evento colposo come fosse doloso, andando di fatto a ribaltare il significato di "incidente", di evento causato da una serie di circostanze non volute, è quanto meno scorretto dal punto di vista giuridico, appunto, non politico. Prima che venisse approvata questa legge, erano già previste le aggravanti in caso di omicidio colposo provocato da "macroscopiche" violazioni del codice della strada, con l'applicazione dei principi di "dolo eventuale" o, in casi limite, di "colpa cosciente".

Facendo mie le critiche già mosse mesi fa dalle Camere Penali Italiane, "la nuova norma così come presentata sembra istituire una sorta di presunzione di colpa e di causalità fra lo stato di ebbrezza e l'evento lesivo. Ma così non può essere, pena lo stravolgimento di tutti i principi fondamentali del sistema penale. L'evento deve essere la concretizzazione del rischio specifico insito nella guida in elevato stato di ebbrezza. Occorrerà insomma verificare che l'evento lesivo sia dovuto proprio alla incapacità del conducente di osservare le regole sulla circolazione stradale in ragione dell'alterazione delle sue condizioni psico-fisiche dovute all'ingestione di alcool o stupefacenti. Inammissibile la codificazione di una colpa in re ipsa".

Ogni condanna, secondo i principi giuridici del nostro ordinamento, deve tendere a sanzionare un comportamento in ragione della sua effettiva intenzionalità: pensare di poter punire un evento colposo come doloso é "vera e propria mistificazione, di un arretramento verso forme di imbarbarimento del diritto penale", sostengono le Camere Penali, e sostengo anche io in questo mio articolo e in quello precedente, scritto all'indomani dell'approvazione della legge.

Per tutte queste ragioni, respingo al mittente le accuse di "cattiva informazione" e falso ideologico che mi sono state mosse e che ritengo siano destituite di ogni fondamento. Questo articolo, come la maggior parte dei miei articoli, è un editoriale che presenta una tesi ben precisa, argomentata, fondata su elementi giuridici e giurisprudenziali esistenti, con tanto di fonti correttamente linkate e non, come da lei sostenuto, "completamente campato per aria".

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