Che la frattura interna al Partito Democratico fosse non più rimarginabile lo si era capito da tempo, con le dimissioni del capogruppo Roberto Speranza e l’abbandono dell’assemblea di gruppo alla Camera dei deputati da parte di un nutrito gruppo di “dissidenti”. La sostituzione in Commissione Affari Costituzionali di 10 deputati della minoranza con i fedelissimi di Renzi ha innescato un processo peculiare, che rischia di avere ripercussioni clamorose sul proseguimento della legislatura stessa. Se la mossa serve sostanzialmente ad impedire che il testo venga modificato (in modo da lasciarsi le mani libere per porre la questione di fiducia sulla legge elettorale, cosa che non potrebbe avvenire nel caso di modifiche sostanziali all’impianto dell’Italicum), la sensazione resta quella di una pericolosa prova di forza, che ha come primo effetto quello di ricompattare il fronte dell’opposizione parlamentare.
Così, il rischio è che a discutere, votare ed approvare il testo in Commissione siano solo i membri renziani del PD, quelli del Nuovo Centro Destra e forse di Scelta Civica. Infatti, Forza Italia ha annunciato, tramite il capogruppo Brunetta, la volontà di non partecipare ai lavori: “Dichiareremo l’inaccettabilità della posizione del Partito democratico, che evidentemente vuole eliminare qualsiasi dibattito in qualsiasi senso. E quindi, di fronte a questo loro atteggiamento, lasceremo al Pd tutta la responsabilità di approvarsi in Commissione l’Italicum blindato, a disonore del Partito democratico stesso”. Una linea sposata anche da Sinistra Ecologia e Libertà, con Arturo Scotto che ha parlato di una “vera e propria farsa alla quale non siamo abituati”, ripetendo che “Renzi tratta la commissione Affari Costituzionali della Camera come una sezione del PD, dunque noi lasciamo i lavori e ci vedremo in Aula”.
Posizioni che si sommano alle perplessità di Scelta Civica, che comunque proverà a cambiare il provvedimento, come conferma il segretario Zanetti: “Cercheremo di far passare alcune nostre proposte di modifica di buon senso. A cominciare da quella che prevede la possibilità di apparentamento al ballottaggio. Chiederemo poi di aumentare fino a 200 il numero dei collegi”. Il no del Movimento 5 Stelle è invece scontato, come sottolinea Sorial: “Dieci deputati vengono buttati fuori dalla commissione sostituiti da soldatini più ubbidienti. Non è certo finita qui, perché il Pd ancora minaccia tutto il parlamento con il voto di fiducia, un precedente solo di Mussolini! Dopo il passaggio in aula l'unico garante della democrazia sarà il presidente Mattarella, firmerà una legge elettorale viziata da tutto ciò?”. Anche Salvini, infine, ipotizza che i membri del Carroccio possano lasciare la Commissione: "Renzi se la canta e se la suona, vuol fare le leggi a suo uso e consumo. In un momento poi di emergenza, in cui ci sono i morti, in cui c'è il problema della disoccupazione, lui blocca il Parlamento con la legge elettorale e allora se la faccia da solo".
Sulla sostituzione dei membri in Commissione, del resto, continuano le polemiche. Vale però la pena sottolineare che si tratta evidentemente di una scelta politica di enorme rilevanza (e da un certo punto di vista piuttosto grave), ma pienamente legittima sotto il profilo “costituzionale”. Il regolamento del Senato, infatti, consente ai gruppi parlamentari “per un determinato disegno di legge o per una singola seduta, di sostituire i propri rappresentanti in una commissione, previa comunicazione scritta al presidente della commissione stessa”.
La risposta del Presidente del Consiglio è invece arrivata in serata: "Noi non siamo quelli che si fermano prima del traguardo, non siamo uguali agli altri. Di legge elettorale ne abbiamo discusso durante le primarie, in assemblea nazionale, in direzione, ai gruppi parlamentari, ovunque. La proposta, che è stata sempre votata a stragrande maggioranza, è stata approvata anche dal resto della maggioranza e dai senatori di Forza Italia". Ancora più dura la Boschi, che ha attaccato le opposizioni: "Non conoscono le regole della democrazia".