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Onere probatorio e recupero dell’onorario dell’avvocato

La Cassazione del 11.1.2016 n. 230 ha stabilito che l’eccezione formulata dall’opponente di inesistenza del mandato (inesistenza dell’incarico professionale all’avvocato) contiene in sè in modo implicito quella di contestazione anche del quantum del credito vantato dalla parte, in conclusione, il professionista (avvocato) che agisca per ottenere il soddisfacimento di crediti inerenti ad attività prestata a favore del cliente ha l’onere di dimostrare l’an del credito vantato e l’entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso.
A cura di Paolo Giuliano
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In periodo di crisi il ritardo dei pagamenti o l'omesso pagamento è una situazione normale. Ai ritardi dovuti alla congiuntura economica, si sommano anche i ritardi dovuti alla contestazione dell'esistenza del credito o la contestazione della quantificazione del credito.

Anche il recupero degli onorari i professionisti è influenzata dalla situazione descritta in precedenza. E può capitare che iniziato il procedimento giudiziale, il debitore contesti espressamente il conferimento di un incarico al professionista e contesti espressamente anche l'importo del credito, oppure, può capitare che sia contestato solo l'inesistenza dell'incarico conferito e non contesti espressamente l'ammontare del credito.

In quest'ultima situazione occorre chiedersi se la sentenza che accerta  anche il quantum è correttamente resa o meno. Questo perché se il debitore si limitata a contestare l'esistenza di un rapporto di prestazione professionale, assumendo di non avere affidato alcun incarico al legale, si dovrebbe ritenere che la controversia è incentrata solo sulla questione concernente l'effettivo conferimento del mandato da parte della società opponente al professionista, questo perché nessuna domanda è tesa alla verifica della congruità delle somme pretese dall'avvocato e nessuna domanda di questo tipo è stata formulata dal debitore.

Quindi, occorre valutare se in sede di contestazione del quantum del credito (dell'onorario richiesto dal professionista), il debitore deve (o meno) sollevare specifiche censure o specifiche contestazioni a singole voci che compongono il credito.

La giurisprudenza non richiede che la contestazione mossa dall'opponente in ordine alla pretesa fatta valere dall'opposto sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell'Ordine abbia carattere specifico, per il determinarsi del suddetto onere probatorio a carico del professionista, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico, giacché nel giudizio d'opposizione de quo non è applicabile, nei confronti dell'opponente – convenuto, il principio per cui la censura intesa a prospettare la violazione delle tariffe professionali nella liquidazione delle spese di giudizio è ammissibile solo se articolato in una dettagliata disamina delle voci che s'intendono violate.

Ne consegue che ogni contestazione, anche generica, sollevata dall'opponente-convenuto in ordine all'espletamento ed alla consistenza dell'attività, nonché all'applicazione delle tariffe è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l'onere probatorio in ordine tanto all'attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa.

In altri termini, l'eccezione formulata dall'opponente di inesistenza del mandato contiene in sè in modo implicito (fatta salva, cioè, un'espressa determinazione della parte in senso contrario) quella di contestazione anche del quantum del credito vantato dalla parte, onde il giudice dell'opposizione che riconosca un credito di ammontare inferiore a quello per cui è stato emesso il decreto ingiuntivo non emana una pronuncia che va oltre i limiti delle pretese fatte valere dalle parti nelle rispettive posizioni di opponente-convenuto e di opposto-attore, e quindi non viola l'art. 112 c.p.c.

Alla stregua dell'enunciato postulato, la sentenza che valuta il quantum del credito si rivela senz'altro suscettibile di resistere alla censura con la quale si contesta di aver deciso in assenza di specifica domanda sul punto,  pur in mancanza di specifiche contestazioni della controparte, in ordine alla determinazione del quantum, una volta riscontrata la fondatezza delle richieste ai fini dell'insorgenza del diritto vantato. Del resto, se il giudice ha operato la verifica  sull'an con esito positivo, (è stato conferito l'incarico professionale) questo non esime l'avvocato dalla prova del quantum e il giudice dall'accertamento sul quantum e questa attività non può dar luogo ad un vizio di extrapetizione.

In conclusione, il professionista che agisca per ottenere il soddisfacimento di crediti inerenti ad attività asseritamente prestata a favore del cliente ha l'onere di dimostrare l'an del credito vantato e l'entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso.

In presenza di una contestazione (anche implicita) sul quantum del credito è evidente che gli oneri probatori diventano più complessi e pesanti,

Passando ad analizzare gli oneri probatori a carico del creditore professionista occorre sottolineare che il professionista che richiede il pagamento di oneri professionali in sede giudiziaria deve provare il conferimento dell'incarico e la quantificazione dell'onorario professionale. L'aver provato l'esistenza dell'incarico professionale, non significa che il professionista non debba provare anche la quantificazione dell'attività svolta e, ovviamente, non significa che il giudice non ha il dovere di verificare ed accertare la quantificazione del credito.

Sul punto (prova del quantum del credito) è opportuno sottolineare che è principio pacifico che la parcella corredata dal parere espresso dal competente Consiglio dell'Ordine d'appartenenza del professionista abbia, per il combinato disposto degli arti 633, comma 1 n. 2 e 636, comma 1 c.p.c., valore di prova privilegiata – al pari di quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 633, comma 1 n. 1 e 634 o 635 c.p.c. per i documenti in questi ultimi considerati – e carattere vincolante per il giudice esclusivamente ai fini della pronunzia dell'ingiunzione.

La parcella correlata dal parere del consiglio dell'ordine, non ha tale valore e carattere, costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista (sulla quale l'organo associativo si limita ad esprimere un parere di congruità, senza effettuare controllo alcuno di effettività e di consistenza quanto alla prestazione), nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall'ingiunto con l'opposizione ex art. 645 c.p.c., nel quale, attesane la natura di ordinario giudizio di cognizione, il creditore in favore del quale l'ingiunzione è stata emessa assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione da parte dell'opponente in ordine all'effettività e alla consistenza delle prestazioni eseguite ovvero all'applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste, circostanze la cui valutazione è, poi, rimessa al libero apprezzamento del giudice.

Cass., civ. sez. II, del 11 gennaio 2016, n. 230 in pdf

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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