Omicidio Meredith, la verità di Sollecito in un libro: “Assoluzione, fine di un incubo”
“Un passo fuori dalla notte – Tutto quello che non avete mai immaginato di me”. Si chiama così il libro con il quale Raffaele Sollecito ha deciso di raccontare la storia di questi ultimi 8 anni, a partire da quella notte del primo novembre del 2007 a Perugia. Quindi i giorni successivi, in cui lui e la sua compagna dell’epoca, Amanda Knox, furono accusati dell’omicidio di Meredith Kercher. Poi assolti nel 2011, sentenza annullata nel 2014, salvo poi essere nuovamente assolti nel 2015. Il Corriere della Sera ne anticipa alcuni passi. "Un libro necessario. Ognuno dopo averlo letto potrà dire ‘questo poteva capitare a me'" dice Giuseppe Strazzeri, direttore editoriale di Longanesi.
Sollecito ricorda cosa ha provato quando i giudici si sono riuniti in camera di consiglio lo scorso marzo per pronunciare la sentenza di assoluzione definitiva. Insieme al padre decidono di andare a casa, a Bisceglie, e attendere là il momento fatidico della lettura dei giudici:
I più piccoli della mia famiglia – mio cugino Raffaele e Simona, la figlia ventunenne della moglie di mio padre – non riuscivano a mascherare la tensione, e neanche Greta, che continuava a piangere. Come poi scoprii, mia sorella le aveva detto che secondo lei questa storia sarebbe finita nel peggiore dei modi, e che lei doveva cominciare ad arrendersi all’idea. Dopotutto potevo capire il suo pessimismo: la vita di Vanessa era uscita distrutta da questa storia. Aveva dovuto lasciare i carabinieri, e aveva perso anche ogni fiducia nel sistema di cui aveva fatto parte”.
Quindi l'urlo liberatorio che sancisce la fine dell'incubo:
All’urlo di mia sorella: ‘Innocente!’, tutte le persone che si erano strette attorno a me cominciarono a gridare dalla gioia, a battere le mani. Incredulo, mi lasciai sfuggire una risatina dalla bocca dello stomaco, poi anche io urlai, forte, sempre più forte, mentre papà, Mara e Greta piangevano dalla gioia e il mio amico Francesco mi afferrava e mi stringeva al punto da farmi soffocare“.
Raffaele ricorda che tante persone lo hanno chiamano in quei minuti, anche Amanda, con la quale scambia poche parole:
Sapevo che aveva vissuto con angoscia l’attesa della sentenza, ma adesso era felice, almeno quanto me. In qualche modo, ora, la nostra storia era davvero finita. Solo noi potevamo sapere quant’era pesante il fardello che ci eravamo portati addosso per tutti quegli anni. Ma ci rendevamo anche conto, com’era già avvenuto dopo la prima assoluzione, che, a parte quell’esperienza, non c’era più nulla che ci unisse. E ci salutammo. Con lo stesso ‘Buona fortuna’ che ci eravamo augurati il giorno della scarcerazione.“