Omicidio Melania Rea, le motivazioni: “Indizi gravi e convincenti contro Parolisi”
Salvatore Parolisi, l’ex caporalmaggiore dell’esercito condannato in primo grado all’ergastolo e in appello a 30 anni di reclusione perché accusato dell’omicidio della moglie Melania Rea, farà ricorso in Cassazione. Ad annunciarlo sono i suoi legali nel giorno in cui sono state depositate le motivazioni della sentenza di condanna a 30 anni emessa dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila. Uno dei legali di Parolisi, l’avvocato Valter Biscotti, ha annunciato il ricorso in Cassazione parlando di “motivazioni corpose”. I termini per presentare il ricorso partono, da quanto si è appreso, dal prossimo 28 dicembre. “Gravi sono gli indizi consistenti, cioè resistenti alle obiezioni, e quindi attendibili e convincenti”: è questo un passaggio delle motivazioni (contenute in un faldone di 148 pagine) dei giudici dell’Aquila.
Melania Rea uccisa nel 2011 con 35 coltellate – “Nel caso in esame – spiega la Corte d’Assise d’Appello – la regola di giudizio va necessariamente posta in relazione con l’indubbio carattere indiziario del compendio probatorio raccolto nel giudizio di primo grado”. Facendo riferimento ancora agli indizi si rileva che “precisi sono quelli non generici e non suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o più verosimile e, perciò non equivoci; concordanti sono quelli che non contrastano tra loro e più ancora con altri dati o elementi certi”. Ricordiamo che Melania Rea, giovane donna di Somma Vesuviana (Napoli), fu uccisa il 18 aprile del 2011 e ritrovata nel bosco delle Casermette, a Ripe di Civitella (Teramo). Fu uccisa con 35 coltellate e per questo delitto è stato accusato, e condannato, suo marito che ha però sempre negato ogni coinvolgimento. L’uomo è rinchiuso nel carcere di Castrogno (Teramo).
“Contaminazioni da eco mediatica” – Secondo la Corte il risalto mediatico della vicenda potrebbe “avere inevitabilmente influito sulla genuinità dei ricordi delle persone informate sui fatti”, ricordi “inconsapevolmente contaminati dalle notizie e dalle immagini ripetutamente diffuse dai mass media”. I giudici danno dunque parzialmente ragione alla difesa di Paroli ma aggiungono, “ciò che nella specie conforta l'attendibilità delle dichiarazioni testimoniali è il riscontrarsi reciproco dei riferimenti anche tra persone che non hanno avuto modo di confrontare le rispettive percezioni, perché non facenti parte dello stesso gruppo di amici o dello stesso nucleo familiare”.