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Omicidio Emmanuel, Mancini torna in carcere. La Cassazione: “Ha ucciso per odio razziale”

L’assassino di Emmanuel Chidi Namdi dovrà tornare in carcere dopo la sentenza della Cassazione: i giudici, infatti, hanno stabilito che Mancini commise l’omicidio per motivazioni razziste.
A cura di Davide Falcioni
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Amedeo Mancini torna in carcere. Il 40enne neofascista fermano, condannato per l'omicidio del richiedente asilo politico nigeriano Emmanuel Chidi Namdi, avvenuto a Fermo nell'estate del 2016, dovrà scontare la pena dietro le sbarre su ordine del Procuratore Capo della città marchigiana Domenico Seccia. Nei mesi scorsi l'uomo era stato scarcerato per buona condotta e, dopo essere stato posto agli arresti domiciliari, per lui era arrivata anche la libertà vigilata. Il nuovo provvedimento di arresto era nell’aria da alcuni giorni dopo la sentenza della Cassazione che aveva confermato l’aggravante razziale nella pena di quattro anni patteggiata da Mancini e dopo il materializzarsi di un cavillo legale che metteva a rischio la libertà del 40enne. L’uomo accompagnato dai suoi legali, gli avvocati Francesco De Minicis e Savino Piattoni, ieri si è presentato spontaneamente nel penitenziario di Fermo.

I legali del 40enne avrebbero già programmato la contromossa: “Nei prossimi giorni promuoveremo un incidente di esecuzione davanti al tribunale di Fermo, poiché, secondo la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, l’ordine di carcerazione sarebbe dovuto rimanere sospeso sino alla pronuncia del Tribunale di Sorveglianza di Ancona sull’istanza di affidamento in prova ai servizi sociali". Mancini, quindi, potrebbe tornare in libertà.

Il comitato antirazzista 5 luglio, nato proprio in seguito all'omicidio del nigeriano, ha commentato: "Emmanuel Chidi Nnamdi fu ucciso, in modo preterintenzionale, da Amedeo Mancini, e ad innescare la dinamica degli eventi fu un atto di razzismo; Emmanuel è stato, dunque, vittima della violenza razzista. Questa sentenza chiarisce che non vi fu alcuna ‘legittima difesa’ da parte dell’omicida; e toglie ogni legittimità ad un anno di minimizzazione dell’accaduto e di denigrazione della vittima, la cui esistenza è stata brutalmente stroncata, proprio quando egli pensava di poter finalmente, con la sua compagna, ricominciare a vivere e progettare un futuro, dopo anni di paure e di violenze. Non può esserci, da parte nostra, e non c’è, alcuna soddisfazione, la quale, di fronte ad un dramma come questo, sarebbe assolutamente fuori luogo. C’è, però, la consapevolezza che avevamo, purtroppo, ragione sia sulla dinamica dei fatti, che sulle sue motivazioni (pur non avendo, noi, mai commentato i precedenti passaggi giudiziari e le scelte della Magistratura). Avevamo e abbiamo ragione, soprattutto, nell’alzare un grido di allarme sul diffondersi, nel Paese, ma anche nella nostra città – nonostante la sua storia e la sua tradizione civile e democratica – di un clima di xenofobia e razzismo sempre più preoccupante; sulla pericolosità, soprattutto per i più giovani, della presenza sempre più palese ed arrogante di ambienti violenti e neofascisti, che si nutrono di menzogne e paure costruite ad arte; ragione, infine, su quanto sia sbagliata ed irresponsabile una sottovalutazione, di fronte al crescere di questi fenomeni, da parte delle stesse istituzioni”.

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