Olimpiadi, gli Usa lanciano l’allarme doping: “Ye Shiwen? Incredibile..”
“Quando vediamo qualcosa di incredibile, e mettro incredibile tra virgolette, la storia ci mostra che c’entra il doping”. Una frase che pesa come un macigno: a lanciarla è John Leonard, direttore della World e della Usa Swimming Coach Association. Il bersaglio è Ye Shiwen, la sedicenne cinese che ieri ha vinto la medaglia d’oro nei 400 misti e, soprattutto, con il record mondiale negli ultimi cento metri di 58’’68, molto meno di Ryan Lochte e Michael Phelps nella stessa gara a livello maschile.
Arne Ljungqvist, presidente della Commissione medica del Cio, ha preferito chiudere subito la questione, dichiarando che “nel caso in questione non possiedo elementi che mi permettano di fare altro che applaudire a questa impresa sportiva”. Non è di questo avviso John Leonard, che ribadisce di nuovo al giornale inglese Guardian che “dobbiamo esser prudenti quando parliamo di doping. Ma nella storia del nostro sport quando vediamo qualcosa di incredibile, e metto incredibile tra virgolette, la storia ci mostra che c'entra il doping. Quegli ultimi cento metri, a gente che lavora in questo settore da anni, ricordano le nuotatrici dell'Europa dell'est. Ricordano i 400 misti di Michelle Smith a Atlanta”.
“I miei risultati arrivano dal duro lavoro e dall'allenamento”, ha chiosato senza aggiungere altro l’atleta cinese, respingendo al mittente ogni sospetto. Ma il pensiero torna alla mente, inevitabilmente, ai mondiali di nuoto del 1994 che si disputarono a Roma: gli atleti cinesi stravinsero con ventotto medaglie, di cui sedici d’oro (dodici di queste erano femminili). Un risultato clamoroso che scatenò già durante le gare i più feroci sospetti, ed anche in quel caso i cinesi negarono tutto. “Le cinesi sanno soffrire, per questo sanno vincere; hanno tutte il doppio lavoro: in fabbrica e poi a casa, mica come le vostre, le italiane, con le cameriere e le baby sitter”, dissero, a sostenere la purezza di quelle vittorie.
Due mesi dopo, il colpo di scena. Giochi asiatici di Hiroshima, i controlli anti-doping si abbattono su una serie di atlete cinesi, tutte vincitrici a Roma: Yang Aihua, oro nei 400 stile libero e nella staffetta 4×200, Zhou Guandin, oro nella staffetta 4×20 e Lu Bin, da sola 5 medaglie complessive a Roma: oro nei 4×100 stile libero, nei 4×200 stile libero e nei due 200 misti, nonché argento nei 100 e 200 metri stile libero. Fu un massacro, la squadra di nuoto cinese fu travolta ed annientata: due anni dopo, ai giochi di Atlanta, riuscono a conquistare solo una medaglia d’oro nel nuoto, con Le Jingyi, una delle poche rimaste immuni dallo scandalo, e che a Roma aveva vinto l’oro nei 50 e 100 metri stile libero e nelle staffette 4×100 stile libero e 4×100 misti. A quelle stesse olimpiadi, però, ci fu un’altra atleta che fece parlare di sé, come ha ricordato Leonard.
Michelle Smith, irlandese, vinse tre ori nel nuoto, ma due anni dopo fu squalificata per doping: furono trovate, per la precisione, tracce di androstenedione nelle sue urine. Erik de Bruin, olandese, suo marito ed allenatore, lanciatore del disco e del peso, era stato trovato a sua volta dopato in un test del 1993 e sospeso dalle competizioni. Per di più, non contento, agli europei di nuoto di Vienna nel 1995, sempre de Bruin era stato sorpreso nella sala controlli antidoping con un accredito falso, in cui risultava di nazionalità belga. “Mi drogo con le competizioni, l'unico mio doping sono spaghetti, carne e patatine”, aveva detto la Smith, autrice di gare fuori dal comune. Poi, con la squalifica per doping, uscì definitivamente di scena.
La miscela, insomma, resta esplosiva, e pare destinata a continuare a lungo. Starà alle cinesi dimostrare che si tratta di semplice invidia per delle prestazioni sportive fuori dal comune. C’è in gioco molto di più di una medaglia e dello sport stesso. C’è in gioco, quando si parla di doping, anche la saluta degli atleti.