La Camera dei deputati ha approvato, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, l’articolo unico del decreto legge 13 / 2017 recante “disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale”. Sul testo, identico a quello approvato dal Senato e passato al vaglio delle Commissioni, il Governo aveva posto la questione di fiducia, ottenendo 330 Sì, mentre oggi i voti favorevoli al provvedimento sono stati 240.
La nuova legge contiene una serie di misure volte ad accelerare l’iter burocratico per le richieste di asilo o altra forma di protezione umanitaria da parte dei migranti che raggiungono le coste del nostro Paese. Come vi abbiamo spiegato nel dettaglio qui, il decreto aumenta di molto la capacità dello Stato di esaminare le richieste, prevedendo anche assunzione di personale specializzato e un nuovo assetto dei collegi, ma soprattutto eliminando il grado di appello nel caso in cui fosse respinta la prima richiesta di asilo. Sarà dunque l’unico caso in tutto l’ordinamento italiano nel quale, in materia di diritti della persona non abbiamo un doppio grado di giudizio, come ha spiegato Gianfranco Schiavone di ASGI, aggiungendo: “Quello che viene previsto anche per situazioni di controversie civili minime, come per esempio se rubo una merendina al supermercato, non ci sarà più nel caso si debba stabilire se una persona è esposta nel suo paese a trattamenti inumani e degradanti”.
Un solo grado di giudizio, in cui non è nemmeno obbligatoria la presenza del migrante e l’esposizione delle proprie ragioni (il giudice si limita a osservare il materiale videoregistrato e quello scritto precedentemente dalla commissione amministrativa), con la sola possibilità di ricorrere in Cassazione entro il termine ordinario, con ulteriori complicazioni per i richiedenti asilo. Per tagliare corto, siamo al punto in cui “l’onere della riduzione dei tempi dei procedimenti ricade interamente sulle spalle dei richiedenti protezione”, cui viene sottratto anche un diritto garantito a tutti i cittadini.
La nuova legge interviene anche sulla disciplina delle espulsioni, introducendo i “Centri di permanenza temporanea”, strutture molto simili ai vecchi Cie (Centri identificazione ed espulsione) che verranno collocati in ogni Regione, “previa intesa con i Presidenti interessati”. I CPR, che avranno una capienza complessiva di 1600 posti, serviranno a “trattenere per il tempo strettamente necessario” quelle persone per le quali “non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento (a causa di situazioni transitorie che ostacolino la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento)”. Ricordiamo che solo qualche giorno fa il Comitato per i diritti umani dell'Onu ha invitato a limitare il più possibile l’utilizzo della detenzione dei migranti, che va disposta solo come extrema ratio e mai finalizzata ai cosiddetti rimpatri collettivi, pratica vietata dalle convenzioni internazionali.
La logica della sicurezza virtuale
In sintesi: approccio emergenziale e utilizzo della decretazione d'urgenza (incomprensibile, data la situazione attuale), mancata revisione del Testo unico sull'immigrazione, Cie vestiti a nuovo, nuove regole per le identificazioni, eliminazione dell'appello, nessun intervento strutturale sui flussi e mancata eliminazione del reato di immigrazione clandestina (altra richiesta ONU).
Una legge che segue la linea della “sicurezza virtuale”, inaugurata dal decreto sicurezza urbana, come ha ricordato Marcon (SI – SEL) nel corso del suo intervento, aggiungendo: “Tra l’altro le politiche securitarie sono state e sono fallimentari: il reato di clandestinità, i centri di detenzione, i muri, i blocchi navali non hanno risolto i problemi, hanno solamente cercato di usare le migrazioni come merce elettorale per dare qualche segnale più o meno rassicurante all'opinione pubblica. […] L'obbligo della videoregistrazione per noi è incostituzionale, l'abolizione del contraddittorio è incostituzionale, l'abolizione del ricorso in appello è incostituzionale; e voi con questo decreto-legge prevedete di moltiplicare oltretutto i centri di detenzione, chiamati ora “centri per rimpatrio”. Non vi basta il fallimento dell'orrore umano e morale dei CIE: volete moltiplicarlo ora in tutte le regioni!"
Una linea condivisibile e rafforzata dalle considerazioni di altri deputati intervenuti in Aula per le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia. Fossati, di Articolo 1 – MDP (che, per inciso, ha compiuto un vero capolavoro politico, annunciando il voto di fiducia e contemporaneamente il voto contrario al provvedimento), in particolare si è concentrato sul senso del “velocizzare” i tempi: “Se fosse la richiesta di un certificato o un atto burocratico dovuto, i tempi sarebbero importanti per i richiedenti asilo, ma qui si decide la vita di chi è sfuggito alla morte. E noi diamo il senso, con questo messaggio, di un'azione che scambia il tempo con la limitazione dei diritti e che, nella condizione di immigrato o di richiedente asilo, questo scambio sia ragionevole, sia già molto per te, che sei immigrato, che sei un mio problema e ti devi accontentare”.
Ecco, in definitiva, con i due decreti Minniti legittimiamo l’idea che la “sicurezza virtuale”, o meglio, la percezione della sicurezza, sia un valore assoluto, un obiettivo da raggiungere anche a costo di calpestare i diritti dei più deboli, degli emarginati, dei più esposti. Siamo alla guerra agli ultimi a scopo di propaganda, alla legittimazione dell’allarmismo, alla constatazione del fatto che “siamo tutti uguali ma qualcuno è più uguale degli altri”.