Il caso della giovane siciliana Valentina Milluzzo, morta a 32 anni in seguito a un aborto spontaneo insorto al quindi mese di gravidanza, sta facendo molto discutere in queste ultime ore, riportando in auge il dibattito sull'obiezione di coscienza. Stando alla versione della famiglia della giovane, Valentina viene inizialmente ricoverata all’ospedale Cannizzaro di Catania il 29 settembre per una sospetta dilatazione dell’utero. La situazione, stando a una prima ricostruzione, sarebbe rimasta sotto controllo fino alla mattina del 15 ottobre, quando la paziente viene colta da febbre alta, curata attraverso la somministrazione di una terapia antipiretica. Nonostante le cure, insorgono vomito e forti dolori. La donna rimane in queste condizioni fino alle tre del pomeriggio successivo, quando viene sottoposta a una ecografia e un successivo esame mise in evidenza uno stato di sofferenza di uno dei due feti, una situazione che rendeva necessario un aborto terapeutico.
Nelle prime ore successive al decesso, fonti di stampa hanno ripreso le dichiarazioni dell'avvocato della famiglia Milluzzo, il quale sostiene che la giovane catanese non sarebbe stata aiutata dal medico di turno che, in quanto obiettore di coscienza, si sarebbe rifiutato di procedere con l'aborto terapeutico, che avrebbe potuto salvarle la vita: "Finché è vivo io non intervengo", avrebbe detto ai famigliari della Milluzzo. Nella conferenza stampa congiunta indetta dal direttore generale Angelo Pellicanò e dal direttore di Ginecologia e Ostetricia Paolo Scollo viene però fornita un'altra versione dei fatti: "Cominciata la terapia antibiotica con febbre alta, è stata fatta scendere nella sala parto. Sono state fatte analisi risultate negative. Nel passaggio della guardia delle ore 20, erano presenti entrambi i medici perché la paziente aveva un sospetto di infezione grave. Il medico ha fatto fare così un esame per vedere l'infezione. Nel frattempo però ha abortito spontaneamente il primo feto, senza nessuna induzione. Dopo il medico ha indotto il secondo parto abortivo. E' quindi un falso che si parli di obiezione di coscienza. Il medico in sala parto appena si è reso conto di questa situazione, ha immediatamente messo in moto la macchina terapeutica necessaria".
Obiezione di coscienza che, come correttamente ricordato dai dirigenti medici del Cannizzaro, non avrebbe potuto essere accolta in un caso del genere, in quanto la Legge 194 permette sì ai ginecologi obiettori di non farsi carico di determinate prestazioni che considerano inattuabili per questioni etiche personali e religiose, ma impone altresì che nel caso la vita della donna sia in pericolo, di procedere con il protocollo di legge. All'articolo 9 della Legge 194, infatti, si legge: "L'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo".
A dispetto delle due versioni contrastanti, sulle quali farà luce l'inchiesta aperta dalla Procura in seguito al decesso di Valentina Milluzzo, il professor Paolo Scollo durante la conferenza stampa ha però ammesso che nella struttura di ginecologia e ostetricia del Cannizzaro di Catania operano solo medici obiettori e che lui stesso è un medico obiettore. La struttura, per garantire l'applicazione della Legge 194 e permettere alle gestanti il diritto a ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, si avvale quindi di una figura esterna, a contratto, che interviene in caso di necessità: "I dodici medici in servizio nel nostro reparto di ginecologia e ostetricia sono tutti obiettori di coscienza, ma questo non ha alcuna rilevanza né col caso né col servizio reso a chi vuole fare ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Nella nostra struttura c'è un sistema che permette di intervenire per l'interruzione volontaria di gravidanza, che è programmabile. E non ci sono liste di attesa. Ma quando c'è bisogno di un intervento urgente per un caso come quella della paziente si interviene e basta. Non c'entra niente essere obiettori o meno, in quel caso siamo soltanto medici e dobbiamo intervenire per salvare vite".
Lo stesso Paolo Scollo, commentando in un'intervista concessa a Repubblica il decreto "anti-obiezione di coscienza" emanato dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, dichiarò di non essere favorevole all'esasperazione del diritto all'obiezione. "Se una paziente viene da me perché vuole abortire, io applico la legge. Cerco cioè di capire le sue ragioni, provo anche a dissuaderla, ma poi rispetto la decisione e faccio il certificato. Non si deve esasperare il concetto dell'obiezione di coscienza". E poi, ancora: "Al Cannizzaro di Catania, dove lavoro, tutti i ginecologi, me compreso, sono obiettori di coscienza. Ma il servizio è garantito da una dottoressa assunta a contratto che una volta alla settimana, insieme a due anestesisti, applica la legge 194. Così si garantisce il servizio ma si salvaguarda il diritto all'obiezione di coscienza". Un diritto garantito, sì, ma con notevoli aggravi per le casse della Sanità pubblica, visto che il Cannizzaro di Catania non è certo l'unica realtà in Italia ad avere reparti di ginecologia e ostetricia diretti e formati da soli obiettori di coscienza che si avvalgono di personale esterno per garantire l'applicazione della Legge 194.
La 194, infatti, prevede che tutti in tutti gli ospedali dotati di reparti di ostetricia e ginecologia presenti venga garantita l'interruzione volontaria di gravidanza ma, essendo il numero di ginecologi obiettori di gran lunga superiore rispetto a quello dei non obiettori, non è poi così raro imbattersi in strutture che si avvalgono di personale esterno e straordinario per salvaguardare il diritto delle donne a ricorrere all'Ivg. E così, come al Cannizzaro di Catania, accade che in tutto il reparto di ostetricia e ginecologia le proporzioni siano 12 a 1 e che quell'unico medico non obiettore debba, da solo, sobbarcarsi una mole di lavoro assai sproporzionata rispetto alle reali risorse a disposizione. Accade inoltre che nel caso quell'unico ginecologo non obiettore arrivi alla soglia della pensione e debba dunque abbandonare il proprio lavoro, che il reparto dedicato alle interruzioni di gravidanza chiuda temporaneamente per il tempo necessario a trovare un sostituto disposto a subentrare, come accaduto per esempio al Policlinico Umberto I di Roma nel novembre del 2014.
Non solo i medici obiettori sono pochi e sovraccarichi di lavoro e responsabilità, in Italia, ancora oggi, nonostante la Legge 194 sia in vigore da ormai 38 anni, solo il 65,5% degli ospedali italiani pratica le interruzioni volontarie di gravidanza, ovvero solo 62 strutture sulle 94 totali presenti sul territorio italiano. Inoltre, in Italia, nel 2016, una donna che nasca o sia residente nella regione sbagliata può vedersi negare il diritto a usufruire dell'Ivg a causa dell'altissima percentuale di medici obiettori operante nelle strutture pubbliche del territorio: in Molise gli obiettori sono il 93,3% del totale, nella provincia autonoma di Bolzano il 92,9%, in Basilicata il 90,2%, il Sicilia l'87,6%, in Puglia l'86,1%. Numeri da brivido, rilevati inoltre dal Consiglio d'Europa, che pochi mesi fa, accogliendo un ricorso presentato dalla Cgil, scrisse nero su bianco che in Italia, a quasi 40 anni di distanza dall'entrata in vigore della Legge 194, è ancora troppo difficile abortire e il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza non viene garantito a causa dell'altissima percentuale di obiettori di coscienza presenti nelle strutture italiane, che sfiora in media il 70%, oltre a non essere garantito nemmeno il diritto di quei lavoratori che scelgono la via della non obiezione, che durante la loro carriera professionale vengono costantemente discriminati e incontrano numerosi ostacoli e "diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti".