Obama taglia la spesa militare, noi compriamo F-35 per oltre 15 miliardi (DOSSIER)
Secondo i dati della Banca Mondiale (aggiornati al 2009) l’Italia spende l’1,7% del suo PIL in spese per la difesa, gli Stati Uniti, invece, ne spendono il 4,7%. Un decennio di guerre internazionali, missioni di pace e esportazione forzata di democrazia hanno sovradimensionato gli eserciti di entrambi i paesi. Il presidente Barack Obama ha recentemente annunciato tagli per oltre 450 miliardi di dollari alle forze militari, in Italia assistiamo a un costante declino degli stanziamenti ordinari per l'esercito. Eppure, mentre i tagli made in Usa sembrano incidere davvero sulle spese per armamenti e missioni all'estero, in Italia vi sono continui stanziamenti accessori che fanno schizzare alle stelle (e rendono praticamente incalcolabile) la spesa militare totale. In questo dossier cercheremo di mettere una dietro l'altra le cifre, ipotizzare cosa taglierà il governo statunitense e mostrare dove finiscono i soldi degli italiani.
450 miliardi di tagli alla spesa militare degli Stati Uniti
a cura di Enrico Nocera
Salvaguardare la sicurezza del Paese è importante, ma non più dell’esigenza di tutelare le casse statali. Barack Obama presenta il nuovo piano per la difesa degli Stati Uniti, partendo da quella che, più di un’ipotesi, è la linea guida cui l’apparato militare dovrà attenersi: ridurre di 450 miliardi di dollari le spese entro i prossimi 10 anni (l’8 percento delle spese del Pentagono), pur mantenendo costante l’impegno “ per un Paese sicuro”, come ha tenuto a precisare l’inquilino della Casa Bianca.
A illustrare la strategia di contenimento dei costi è stato il Segretario alla Difesa, Leon E. Panetta, che sottolinea un dato in particolare: più che sulle armi, sarà necessario tagliare sul personale. Il Pentagono non riesce più a far fronte agli stipendi erogati mensilmente ai troppi impiegati, sia militari che civili. Per non parlare di soldati e marines, arruolati in massa dopo le guerre in Iraq e Afghanistan, ora in esubero. L'esercito degli Stati Uniti può infatti contare, al momento, su quasi 1.200.000 uomini tra effettivi (United States Army, 539.675 soldati), Guardia Nazionale (Army National Guard, 360.351 uomini) e “contractors”, (vale a dire i mercenari, 197.024 uomini assoldati dopo lo scoppio delle guerre in medio oriente). Gli stipendi di tali unità ammontano, complessivamente, a 181 miliardi di dollari, (quasi un terzo del budget annuale a disposizione del Pentagono) così ripartiti: 107 miliardi in stipendi e provvigioni, 50 miliardi per assicurazioni sulla salute e 24 miliardi per le pensioni.
Secondo alcuni dati raccolti dal New York Times, tali cifre sono però destinate ad abbassarsi drasticamente. La Difesa sta infatti pensando di tagliare il 30 percento del personale militare, portando effettivi e marines a 505.000 unità, con un risparmio netto di ben 387 miliardi di dollari. D’altro canto, sono 150.000 le unità che stazionano ancora in quelle zone dell’Europa e dell’Asia considerate strategiche per la Guerra Fredda. Truppe che, nel 2012, dopo più di vent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica, generano un costo superfluo che tocca i 69 miliardi e mezzo di dollari. Stesso destino toccherebbe agli impiegati civili che si aggirano per le stanze del Pentagono, il cui numero scenderebbe a 550.000 unità, con un risparmio di altri 105 milioni.
Tagli simili potrebbero colpire anche il sistema dei vitalizi e delle pensioni, per evitare che il Pentagono si trasformi, come sottolinea il consulente Arnold L. Punaro, “in un erogatore di benefit che occasionalmente dà la caccia ai terroristi”. Giù, quindi, pensioni e coperture mediche come la Tricare Prime, la cui retta annuale per i veterani non è mai cambiata dal 1995: solo 460 dollari l’anno. L’amministrazione statunitense guarda in faccia i privilegi e cerca di abbatterli con soluzioni che riporterebbero 200 miliardi di dollari nelle casse dello Stato.
Attenzione, però: stiamo parlando di intenzioni, non ancora tradotte in dati ufficiali. Il segretario Panetta, pur avendo individuato in modo preciso gli obiettivi, non vuole usare la scure con mano troppo pesante in un solo ambito. Il reparto militare, già provato da estenuanti guerre nel medio-oriente, potrebbe non prenderla bene. Le elezioni, inoltre, non sono distanti e il partito Repubblicano potrebbe marciare sull’onda di un’ipotetica supremazia militare perduta per riconquistare la poltrona nello studio ovale. Invece di agire solo sul personale, la Casa Bianca sta quindi studiando altri modi per risanare un debito pubblico che ammonta alla spaventosa cifra di 13,8 trilioni di dollari (quasi 14mila miliardi), mai stato così alto negli ultimi 50 anni. L’occhio di Panetta (e di Robert Gates, suo predecessore) è quindi caduto sui tanto dibattuti cacciabombardieri F-35 Joint Strike Fighter -aerei da combattimento che se sostituiti con i quasi omologhi F-16 e F-18s farebbero risparmiare alle casse di Obama 48 miliardi di dollari.
Stesso discorso vale per i cacciabombardieri stealth da 38 miliardi o per i velivoli V-22 Osprey, dal valore di 6 miliardi. Cifre che erano state individuate già un anno fa dall’ex segretario alla Difesa, Robert Gates, da sempre contrario all’acquisto degli F-35 che, in queste settimane, hanno fatto tanto parlare di sé anche sulla stampa italiana.
L’austerity tocca anche il programma nucleare, fiore all’occhiello e legittimazione internazionale della supremazia militare americana. Prima ipotesi: eliminare le armi nucleari dai cacciabombardieri, mantenendole solo sui mezzi di terra e d’acqua, con un risparmio previsto di 39 miliardi di dollari; oppure, tralasciare definitivamente il programma MEADS (Medium Extended Air Defense System), sistema di difesa missilistica aerea sviluppato dagli Stati Uniti con Germania e Italia, e il PTSS (Precision Tracking Space System), costellazione di satelliti spia volti a individuare la posizione dei missili balistici nemici. Giocattoli tecnologici che, se rimessi nel cassetto, porterebbero un risparmio di 43 miliardi di dollari.
Anche i sistemi di comunicazione usati dalle truppe sul fronte potrebbero subire un notevole calo nei costi di mantenimento e innovazione: si parla di 15 miliardi di dollari da tagliare, inizialmente votati a migliorare i ponti radio. La crisi finanziaria in atto potrebbe però convincere Panetta e soci che le attuali modalità di comunicazione vanno più che bene. Queste le misure più consistenti fra cui la Casa Bianca dovrà scegliere per raggiungere la cifra prevista di 450 miliardi di tagli, 260 dei quali da effettuare nei prossimi 5 anni.
Tempi grami, insomma, per il bilancio annuale del Pentagono, attualmente sui 530 miliardi di dollari. Cifra che si ridurrebbe di ben 472 miliardi nel 2013, per la prima volta dopo l’11 settembre. I tagli toccherebbero soprattutto il reparto Ricerca e Sviluppo, decurtando il 10 percento delle risorse. Il risparmio netto sarebbe di 79 miliardi di euro, cui si potrebbero aggiungere: 26 miliardi tagliati al reparto intelligence; la revisione contabile del Pentagono con cui si risparmierebbero 25 miliardi spalmati in dieci anni (opzione che solo il Congresso può rendere effettiva); il riposizionamento di 88.000 soldati che tutt’ora svolgono mansioni di supporto, come rifornimenti, comunicazioni e trasporti, il cui lavoro potrebbe essere affidato a 62.000 civili pagati meno (53 miliardi di rispamio); la chiusura delle scuole elementari e secondarie gestite dal Dipartimento della Difesa e rivolte a 26.000 studenti iscritti, nonché dei relativi college, che farebbe risparmiare allo Stato 15 miliardi.
Nei corridoi della casa Bianca si vocifera di un ulteriore taglio di 500 miliardi alle spese militari, se il Congresso dovesse decidere di continuare sulla strada delle riduzioni. Ipotesi che, come sottolinea il New York Times, vede però contrario il segretario Panetta, uomo che “capisce il sistema dei budget a disposizione della politica come pochi altri segretari della Difesa, in passato, hanno saputo dimostrare”.
Insomma, non è Al Qaeda, non sono i talebani, non è l’Iran o l’Iraq a spaventare l’America del 2012. Il nemico più temibile e insidioso si chiama debito pubblico. Guerra che, per la prima volta nella storia, gli Stati Uniti combatteranno con la riduzione di soldati e armamenti: “Ci stiamo avvicinando a cifre da terzo mondo – ha annunciato David Walker, ex presidente del Congressional budget office, a proposito del rischio bancarotta cui gli Stati Uniti stanno andando incontro – I tassi di interesse costano alle casse federali mille miliardi di dollari l’anno. Abbiamo visto in Grecia e in Irlanda cosa succede se i mercati perdono fiducia: la guerra potremmo averla all’interno dei confini di casa, invece che fuori”.
Italia, lo strano caso dell'esercito senza fondi e dei miliardi per caccia e fregate
a cura di Alessio Viscardi
Districarsi all’interno delle numerose voci racchiuse nel Bilancio del Ministero della Difesa, ovvero tra le spese militare sostenute dall’Italia nel 2011, è un’opera davvero impossibile. I dati ufficiali sono noti, ma a questi vanno affiancate le infinite spese aggiuntive che vengono deliberate di volta in volta dal Parlamento. Tanto che tenere traccia in modo preciso di quanto spende il nostro paese per mantenere l’esercito e comprare armamenti è un’operazione difficile e per cui non basta la consultazione dei dati forniti dal Dicastero. Trovare gli sprechi e le inefficienze dell’ennesima “casta” del Belpaese è difficile, visto che le dichiarazioni ufficiali denunciano “costanti tagli al comparto sicurezza”.
Il bilancio di previsione per lo scorso anno (2011) segnava spese pari a 20,4 miliardi di euro, un incremento del 6.6% rispetto al 2010 -anche se le spese reali raggiungono quota 25 miliardi. Ma in questo calderone sono conteggiate le voci relative alla “Funzione sicurezza del territorio”, in pratica fondi destinati all’Arma dei Carabinieri – circa 6 miliardi – che decurtate lasciano 14,3 miliardi di euro (+0,2% rispetto al 2010) per le forze armate. Gli stanziamenti per il Segretariato generale che cura gli acquisti di armamenti ammontano a quasi 5,5 miliardi di euro, mentre all’esercito rimangono 4,4 miliardi e all’aeronautica 2,5 miliardi.
Ulteriori fondi, in particolare quelli destinati all’acquisto di armamenti, vengono destinati di volta in volta prelevandoli da capitoli di spesa del ministero dello Sviluppo economico, ciò in virtù del fatto che le commesse per la loro costruzione di armi generano un aumento di fatturato per le industrie italiane. In questo conteggio vanno annoverati gli investimenti per il programma Eurofighter, l’acquisto delle fregate classe Fremm e numerosi programmi con il Vbm Treccia.
Il Bilancio della Difesa è in costante calo dal 2008, mentre dal 2003 l’impegno militare si è rafforzato con le numerose situazioni crisi internazionale in cui l’Italia è stata coinvolta: Afghanistan, Iraq e Libano su tutti. Nel 2008 venivano stanziati per la “Funzione Difesa” (fondi per le forze armate) ben 15,4 miliardi, un taglio netto di oltre un miliardo a cui dovrà sommarsi un ulteriore ridimensionamento di 1,7 miliardi previsto tra il 2012 e il 2014. Sono le missioni all’estero a causare la costante erosione dell’apparato militare italiano, ma sono soltanto gli stanziamenti per mantenere i nostri uomini nei paesi stranieri a far affluire abbastanza capitali da mantere in piedi la macchina sovradimensionata di un esercito che spreca la maggior parte delle proprie risorse per la retribuzione degli stipendi dei militari. Senza le missioni all’estero, le forze armate italiane avrebbero appena i fondi per pagare le mensilità di ufficiali e soldati.
Le spese per il personale, come si può leggere nella “Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la difesa per l’anno 2011”, sono la voce più ingente che pesa sulle casse dei militari: le spese per il personale si assestano a circa 9,4 miliardi di euro -il 60% sul Bilancio della Difesa (con un incremento dello 0,9% rispetto al 2010). La causa di questo squilibrio va ricercata nel fatto che per decenni l’esercito è stato un enorme “ammortizzatore sociale” che ha dato un posto di lavoro ai giovani non specializzati del Meridione, rendendo la struttura svoradimensionata, costosta e poco qualificata – come si può leggere in un dettagliato report pubblicato su L’Occidentale.
Secondo La Repubblica, il totale degli stipendi delle forze armate ammonta a ben 23 miliardi di euro l’anno. I militari italiani sono 178 mila, un numero superiore a quello di Germania e Gran Bretagna (che spendono il doppio dell’Italia in investimenti per l’esercito). L’attuale ministro della Difesa, il generale Giampaolo Di Paola, ha recentemente dichiarato che sarebbe ideale un esercito di 130 mila unità, se non addirittura di 90 mila. Il sistema così sbilanciato sugli stipendi, lascia soltanto un 10% di risorse da destinare all’addestramento delle truppe che registrano anche una contrazione del 18% rispetto al 2010. Inoltre, nella Nota aggiuntiva di Marzo 2011 si legge anche che “i tagli finanziari apportati condizioneranno in maniera ancora più incisiva le future alimentazioni dei ruoli; in particolare si delineerà, comunque, nel complesso, una situazione che costringerà le Forze Armate a ridurre drasticamente, finanche azzerare i reclutamenti per il 2011 e per i successivi anni”. Infine, soltanto 2,4 miliardi di euro (il 24% del totale) sono destinati a investimenti – di cui 1,4 miliardi alle spese di esercizio: manutenzioni, carburante, gestione infrastrutture. La situazione, in generale, è quella di un esercito scarsamente addestrato e con equipaggiamenti consumati privi della necessaria manutenzione.
Ci si può domandare dove siano gli sprechi in un sistema dove l’entità dei tagli si incrementa di anno in anno. Basta guardare i capitoli di spesa non inseriti direttamente nel bilancio della Difesa, a partire dal rifinanziamento delle missioni all’estero che viene rinnovato dal Parlamento con cadenza semestrale. L’Italia spende 1,3 miliardi di euro all’anno per mantenere oltre 7 mila soldati in giro per il mondo. Gli stanziamenti sono in costante aumento (nel 2005 ammontavano a circa un miliardo) soprattutto a causa delle spese per l’occupazione militare in Afghanistan. Le forze di pace italiane sono impegnate in 21 paesi, ma oltre metà delle risorse viene destinata proprio al fronte afghano dove sono di stanza 3700 effettivi. In Libano sono impegnati 1700 uomini, mentre in Bosnia e in altri territori caldi l’Italia impiega complessivamente 500 unità militari.
Secondo il Finacial Times, l’Italia nel 2011 ha destinato quasi 700 milioni di euro per la missione in Afghanistan, mentre per Unifil in Libano sono 259 milioni di euro gli stanziamenti, in Kosovo 130 milioni; 5 milioni sono destinati per tutte le altre operazioni. Per il contrasto alla crisi libica del 2011, l’Italia ha speso – secondo L’Occidentale – 700 milioni di euro per le operazioni Unified Protector.
Altro ingente capitolo di spesa, difficile da tracciare come spiegato in precedenza, è quello degli armamenti. Complessivamente, si tratta di una spesa di circa 3,5 miliardi di euro a cui vanno aggiunti 2,2 miliardi dal bilancio dello Sviluppo economico soltanto per il 2011. Secondo Luca Marco Comellini, segretario del Partito per la Tutela dei diritti dei Militari e delle Forze di Polizia, l’ex ministro della Difesa – Ignazio La Russa – ha destinato oltre 18 miliardi di euro in armamenti con 31 programmi pluriennali firmati Stato Maggiore della Difesa.
Tra i principali programmi di acquisto si annovera quello relativo a 135 caccia militari F-35 (Joint Strike Fighter) per cui l’Italia è impegnata in una commessa di 15 miliardi di euro (ogni caccia ha un costo di circa 124 milioni di euro). Le polemiche nate attorno questo programma pluriennale contemplano anche gli enormi costi di mantenimento di ognuno di questi velivoli. A chi ha chiesto l’annullamento degli acquisti, si è spesso risposto che ci sarebbero state ingentissime penali da pagare per il nostro paese, ma una recente inchiesta di Altraeconomia dimostra che:
“l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione. Lo prevede il Memorandum of Understanding del Joint Strike Fighter (in pratica, l’accordo fra i Paesi compartecipanti) sottoscritto anche dall’Italia con la firma apposta il 7 febbraio del 2007 dall’allora sottosegretario Giovanni Lorenzo Forcieri (governo Prodi).”
A tali osservazioni, Leonardo Tricarico, ex capo di SM dell’Aeronatica, ha replicato: “Abbandonare gli F-35 toglierebbe miliardi di lavoro a 72 aziende italiane”. Il programma, però, ha ricevuto pesanti critiche già negli Stati Uniti e, come detto precedentemente, il Pentagono ne rivedrà gli investimenti. Il Government Accountability Office degli Stati Uniti d’America ha dichiarato che “dopo oltre nove anni di progettazione e di sviluppo e altri quattro di produzione, il programma Jsf (Joint Strike Fighter) non ha ancora dimostrato di essere affidabile”. Il GAO rileva anche che i costi previsti per il progetto sono triplicati, mentre tutti i test hanno dato risultati “limitati, pessimi o scoraggianti”.
L’Italia e Finmeccanica, però, sono già coinvolte nella costruzione del caccia Eurofighter, per cui sono già stati spesi 13 miliardi e per cui si prevede un’ulteriore spesa di 5 miliardi. A questi, vanno affiancati gli otto aerei senza piota che il nostro Paese intende acquistare per un costo complessivo di 1,3 miliardi di euro. Sul versante elicotteri, l’Italia sta finanziando l’acquisto di 100 nuovi modelli NH-90 -per un costo di 4 miliardi di euro- e di 16 mezzi da trasporto medio (in sostituzione dei Chinook CH-47C attualmente in servizio) per un costo di 850 milioni di euro. 630 milioni sono destinati all’acquisto di 12 elicotteri per le operazioni di CSAR (Combat search and rescue) in sostituzione degli attuali HH3F in dotazione all’Aeronautica militare. Infine, per un costo di 360 milioni di euro, è previsto l’acquisto di quattro velivoli di pattugliamento di lungo raggio, in sostituzione degli attuali BR Atlantic.
Il capitolo “navi da guerra” si apre con l’acquisto delle dieci Fregate “FREMM” dal costo complessivo di 6 miliardi di euro. Si continua con 1,5 miliardi destinati alle nuove portaerei necessarie per l’utilizzo dei Caccia F-35. Costi a cui andranno aggiunte le spese di mantenimento, basti pensare che la portaerei Cavour costa 200 mila euro al giorno in navigazione e 100 quando resta in porto, come afferma l’esperto Massimo Paolicelli. Se per navigare sopra il pelo dell’acqua spendiamo molto, immergerci potrebbe essere più economico: il programma di acquisto di due sommergibili militaripesa sulle casse dello Stato soltanto per un miliardo di euro.
Veicoli terresti e sistemi digitali comportano altri gravi costi sulle finanze pubbliche. Il progetto “Forza Nec” -che serve a dotare le forze di terra e da sbarco di un sistema unico di comando- costa, nella sola fase di progettazione, 650 milioni di euro. Si stima che per completare il programma saranno necessari 12 miliardi di euro.
Nel triennio 2012 – 1014 saranno stanziati 507 milioni di euro per l’acquisto di 702 tipi diversi di armamenti e sistemi di allarme per le truppe. Tra questi, 4 sistemi TUAV (Tattical unmanned vehicles) da dislocare in diversi scenari di impiego al fine di assicurare ai Comandanti dei Reparti il reperimento di informazioni utili in tempi rapidi – il costo è di 80 milioni di euro. Tra gli armamenti, si annovera una spesa di 84 milioni di euro per l’acquisto di 500 small diameter bomb con cui rifornire i velivoli Tornado, i futuri F-35 e gli Eurofighter.
Per le forze di terra sono previsti 600 milioni di euro, già autorizzati in Commissione, per l’acquisto di blindati Lince -un’operazione che si stima darà lavoro a duemila persone per tre anni- l’acquisto di protezioni passive e sensori eletto-ottici, radar integrati e due prototipi di “Nuova Blindo Centauro 2”.
Tracciare un bilancio complessivo di quanto verranno a costare tutti questi programmi non è possibile, ma tagliarne qualcuno – anche soltanto in parte – permetterebbe all’Italia di risparmiare tagli ben più incisivi sulla popolazione come quelli alle pensioni o allo stato sociale. C’è da chiedersi se la nostra nazione, che nella Costituzione ha sancito il ripudio per la guerra, possa permettersi di investire 1,7% del Pil in operazioni militari.