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Obama avverte l’Iran: “Non stiamo bluffando”, ma intanto tiene a freno Israele

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si dice pronto alla guerra all’Iran se Teheran no abbandonerà i suoi progetti nucleari, ma – intanto – cerca di mediare con Israele affermando che un attacco preventivo farebbe dell’Iran una “vittima”.
A cura di Anna Coluccino
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Lo avevamo annunciato: le minacce di Israele all'Iran sotto tutt'altro che un bluff, e lo scoppio dell'ennesimo conflitto sul suolo mediorientale non è affatto un'ipotesi remota. Lo conferma Barack Obama che, a due giorni dall'incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, dà ulteriore forza alle ipotesi avanzate da molti analisti politici in queste ultime settimane. Per gli USA il progetto nucleare dell'Iran è "inaccettabile", tanto che – in un'intervista rilasciata all'Atlantic Monthly – il presidente statunitense afferma: "Il programma nucleare di Teheran rappresenterebbe un'assoluta minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti anche se Israele non fosse il bersaglio della violenta retorica iraniana". Secondo Obama – insomma – il fatto che l'Iran abbia spesso minacciato di "far sparire dalle carte geografiche" l'alleato di sempre, non sarebbe determinante per dar luogo a un attacco preventivo, in quanto il possesso di armamenti nucleari da parte del governo di Teheren è – ispo facto – una minaccia alla sicurezza statunitense. Durante l'intervista, realizzata dal giornalista Jeffrey Goldberg (che durante la Prima Intifada lasciò il college per trasferirsi in Israele e prestare servizio nelle Forze di Difesa come una guardia carceraria), Obama parla anche dell'esistenza di una minaccia per tutti i paesi mediorientali: "Parliamo del territorio più instabile del mondo. Non è tollerabile per molti stati di quella regione che l'Iran possieda un'arma nucleare se loro non ne sono in possesso. L'Iran, poi, è un noto finanziatore di organizzazioni terroristiche, e la minaccia della loro proliferazione diventa molto più grave".

Nel corso della chiacchierata tra Goldberg e Obama viene fuori anche un altro dato: il presidente statunitense soffre non poco la pressione dei politici Repubblicani, che lo hanno spesso accusato di atteggiamento anti-israeliana. Obama rigetta con decisione questa interpretazione del suo operato, e ribadisce di aver mantenuto "ogni singolo impegno" politico ed economico nei confronti di Israele, ma fa di più. Per il leader statuniense, infatti, "l'opzione militare è sul tavolo", ma – al contempo – preme perché il governo di Netanyahu insista nel trattare la questione da un punto di vista economico-diplomatico, evitando che un attacco prematuro consenta a Teheran di "fare la vittima".  Questo, in buona sostanza, significa che tutto è nelle mani del governo di Tel Aviv, e che se il premier israeliano e suoi dovessero decidere di attaccare, gli USA si vedranno costretti a sostenerli.

Ciononostante, se da un lato appare chiaro come il presidente USA non sia affatto persuaso dell'opportunità dell'opzione bellica, almeno fino a quando la contesa elettorale non si sarà conclusa, dall'altro – proprio dal punto di vista elettorale – non può permettersi un atteggiamento "dubbio" nei confronti di Israele. Qualunque tentennamento potrebbe costargli moltissimo in termini di voti. La comunità ebraica statunitense è potentissima, sia a livello politico che a livello economico, e i numeri di Obama, ora, non consentono ulteriori fuoriuscite di consensi. Israele, dal canto suo, freme sempre di più e non sembra disposta ad attendere oltre. Le flebili rassicurazioni iraniane non hanno avuto alcun effetto tranquillizzante, e se nelle prossime settimane Teheran non saprà essere convincente rispetto al suo "desiderio di pace", il governo di Tel Aviv agirà con rapida determinazione. L'unico possibilità per evitare il conflitto, è che le sanzioni economiche inflitte all'Iran riescano a piegare la volontà una nazione in crescente difficoltà.

Ad Obama resta l'arduo compito di ritardare il più a lungo possibile l'inizio della guerra, ci proverà il prossimo lunedì, giorno in cui si ritroverà ancora una volta faccia a faccia con Netanyahu, ma stavolta non potrà permettersi di venire pubblicamente ripreso dal premier israeliano per la sua "debolezza", la sua "indecisione", dovrà essere in grado di prospettare un credibile piano diplomatico, in cui siano previste nuove e pesanti sanzioni economiche ma – soprattutto -m dovrà offrire pieno appoggio al governo di Tel Aviv, qualunque siano le decisioni che sceglierà di prendere. Il prossimo lunedì, Barack Obama dovrà accomodarsi su una bomba innescata, non resta che sperare nelle sue capacità di artificiere, il governo di Netanyahu, com'è noto, non possiede né la proverbiale pazienza di Giobbe , né un'indole incline al pacifismo. Anzi.

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