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Opinioni

Nozze di rame con la crisi

Dopo 15 anni di mancata crescita e nonostante le banche centrali continuino a mantenere i tassi vicino a zero, i mercati non sembrano molto rassicurati. Hanno ragione perchè si rischia, in Europa, una “trappola della liquidità”. Da cui si dovrebbe uscire tagliando le tasse, non aumentandole ulteriormente…
A cura di Luca Spoldi
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Ma come, non vi basta che la Federal Reserve abbia ancora una volta mandato un chiaro segnale che non intende alzare i tassi ufficiali sul dollaro e che la Bank of England abbia mantenuto i tassi sulla sterlina sui minimi storici da cui si trovano da tempo? No, ai mercati finanziari non sembra bastare e non hanno tutti i torti, perché ad indurre ad una ennesima dimostrazione di “generosità” le banche centrali sono i timori di un rallentamento della crescita economica mondiale ed europea in particolare di cui si notano sintomi sempre più evidenti. Stamane, ad esempio, è stato annunciato che in agosto le esportazioni tedesche sono crollate del 5,8% (e le importazioni dell’1,3%) rispetto a fine luglio (quando erano aumentate del 4,8%, mentre le importazioni erano già apparse in calo di un ulteriore 1,3% mensile), tanto che il surplus commerciale di Berlino si è ridotto a 17,5 miliardi di euro, dai 22,2 miliardi di luglio.

Se la Federal Reserve e la Bank of England non alzeranno così presto i tassi come stavano iniziando a scontare i mercati, vuol dire che l’indebolimento dell’euro è probabilmente giunto al capolinea e infatti, sarà un caso, da meno di 1,26 dollari l’euro è risalito a oltre 1,27 dollari in queste ultime ore. Insomma: altri aiuti non arriveranno da un “euro debole” perché un dollaro, una sterlina (o uno yen) troppo forti non fanno altro che spostare il peso della crisi su altre spalle per nulla intenzionate a pagare ulteriori costi, economici e sociali, in assenza di contropartite. E questo dovrebbe anche servire una volta per tutte per chiudere il discorso della teorica (di fatto non è possibile o quanto meno non si saprebbe al momento come farla) uscita dell’Italia dall’euro per ritornare a una “lira super debole” che nessuno ci consentirebbe di avere (come nessuno ci consentirebbe, senza ritorsioni, di introdurre dazi doganali o altre amenità del genere).

Visto che di crescita non se ne nota traccia e anzi si inizia a temere che il 2014 chiuda male e/o il 2015 apra peggio di come finora previsto (la famosa “luce in fondo al tunnel”, ve la ricordate? Doveva comparire nel corso del 2012…), c’è chi si chiede, da tempo, se non siamo forse in una situazione di “trappola della liquidità”, in cui la politica monetaria non ha più alcun potere di influenzare le decisioni di imprese (che non investono né assumono, anzi tendono a tagliare posti di lavoro per preservare i margini di redditività comprimendo i costi in un momento di prolungata crisi della domanda che comprime i ricavi) e l’unica via d’uscita sia ricorrere alla politica fiscale (attenzione: riducendo, non aumentando le tasse).

Sì e no, perché come noto il problema a monte è che l’Eurozona è legata da un vincolo molto forte (la moneta unica) ma non è ancora riuscita a eliminare le sue discrepanze. Sicché il “denaro facile” figlio della politica monetaria ultra rilassata della Banca centrale europea di Mario Draghi (che suscita sempre maggiori proteste da parte dei partiti “anti euro” tedeschi, irrigidendo così a sua volta la posizione ufficiale di Angela Merkel) rischia di creare qualche surriscaldamento dei prezzi solo nel Nord Europa mentre non scalda minimamente gli animi del Sud Europa, Italia e Francia in particolare.

Un minimo di rilassamento fiscale, in verità, si sta intravedendo per il prossimo anno, dopo la “ribellione” francese al diktat dei parametri del Fiscal Compact, ribellione che potrebbe consentire anche all’Italia di varare una Legge di Stabilità, a giorni, meno pesante del previsto. Ma il problema non cambia: se le poche risorse disponibili (anche “a sorpresa”) vengono spese solo per mantenere elevata la spesa pubblica senza provare quanto meno a migliorarla e/o a ridefinire il perimetro del settore pubblico, sarà difficile che le imprese private possano avere molto più spazio per investire, cosa che è invece necessaria perchè con un debito pubblico già pari al 140% del Pil che cresce del 4,7% l'anno mentre il Pil resta fermo, come ricordavo ieri, non c'è più modo di far crescere la "mano pubblica".

Ma se non si modificherà il modello del credito (cosa che presumibilmente succederà a medio termine anche a seguito di nuove fusioni e acquisizioni e conseguente espulsione di mano d’opera) sarà difficile che qualcosa si rimetta in moto.  Su questo fronte, pure, non ci sono buone notizie: sempre in agosto, secondo gli ultimi dati di Banca d’Italia  i prestiti al settore privato sono calati del 2,5% annuo (erano in calo del 2,6% in luglio), i depositi sono invece aumentati del 3,1% (dal +2,9% del mese precedente). Le corsa delle sofferenze (+20%) continua ma continua anche a rallentare (erano a +25% annuo un mese prima). Tutto come previsto, più o meno, e dunque previsioni che si confermano di almeno altri 12-15 mesi di contrazione del credito prima che il sistema sia nuovamente in equilibrio ossia con un ammontare dei prestiti pari a quello dei depositi.

A quel punto che si fa? Si trova il modo di far bere il cavallo? Come? Sperabilmente dando spazio a chi ha nuove idee per produrre beni e servizi, a chi offre soluzioni per ottemperare a quelle funzioni che il settore pubblico non riesce più a svolgere. A chi vuole poter rischiare e vuole poter ottenere indietro un premio adeguato al rischio che ha corso. Perché tutto questo capiti bisognerà fare molte altre riforme che non solo il “Jobs Act” o la promessa “semplificazione fiscale” di cui parla Matteo Renzi. Eppure piuttosto che niente meglio piuttosto e dunque speriamo che nonostante i problemi e le discrepanze che non si possono non notare una via d’uscita a questi 15 anni di mancata crescita sia trovata, prima che il sottoscritto (che giusto 15 anni fa convolava a giuste nozze) celebri le sue nozze d’argento. Prosit e permettetemi, grazie a mia moglie per avermi sopportato in tutti questi 15 anni di "non euforia", almeno economicamente parlando.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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