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Non sarà Obama-2 a salvare l’Europa

La Merkel e Hollande si congratulano con Obama e lo esortano a una maggiore collaborazione economica con l’Europa. Ma i dati macro confermano che la crisi è sistemica e serve più integrazione all’interno della Ue…
A cura di Luca Spoldi
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Usa, Obama rieletto presidente

Alcuni burocrati europei come il commissario Ue, Olli Rehn, sottolineano ancor oggi con una certa sorpresa “il ritmo più lento della riduzione del debito” dell’Italia, rispetto a quanto “previsto” lo scorso aprile, facendo finta di ignorare come la stretta fiscale fortemente voluta dalla Germania e dai pesi dell’Europa centrale per cercare di ridurre il deficit dei PIIGS e riportarne a tappe forzate il bilancio in pareggio sia una manovra fortemente pro ciclica, che dunque taglia il Pil a denominatore più rapidamente di quanto non si riduca il debito a numeratore, peggiorando nel breve termine il rapporto che peraltro andrebbe calcolato non già sul Pil realizzato in quel momento da un paese ma in base al Pil potenziale (che in teoria riforme e liberalizzazioni dovrebbero consentire di incrementare o quanto meno mantenere stabile).

Ma la “novità” (si fa per dire, visto che l’ho commentata più volte nei mesi scorsi su queste pagine) della giornata è che ormai la crisi economica europea è divenuta sistemica in modo conclamato e non interessa più soltanto Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, ma anche paesi come la Francia e soprattutto la Germania. Così  a settembre se la Spagna (che ancora resiste all’idea di chiedere aiuto alla Bce in cambio di ulteriori misure di austerity) registra l’ennesimo crollo della produzione industriale (-7% su base annua, contro un’attesa di consensus di -3,6% e contro il -2,5% di fine agosto), la Germania vede la produzione industriale calare dell’1,2% annuo (le attese erano per un +0,1%) e, quel che più preoccupa, segna rispetto ad agosto ancora più marcato: -1,8%. Un dato che dopo il -3,3% di ordini alle industrie tedesche sempre in settembre, reso noto ieri, conferma che la crisi sta accelerando anche nel paese di Angela Merkel, che solo qualche giorno fa aveva pronosticato fossero necessari altri 5 anni prima di tornare a vedere una vera crescita economica europea.

La stessa Merkel, e come lei il presidente francese Francois Hollande, sembrano sperare in un aiuto dagli Usa e nelle congratulazioni al rieletto Barack Obama la prima sottolinea di aver “apprezzato particolarmente le nostre numerose discussioni, in particolare quelle su come superare la crisi economica e finanziaria mondiale”, mentre il secondo auspica “un’America aperta, solidale, pienamente impegnata sulla scena internazionale e cosciente delle sfide del pianeta: la pace, l’economia e l’ambiente”. Ma con un “fiscal cliff” incombente a fine anno se non si troverà finalmente un accordo tra Democratici (che si confermano in maggioranza al Senato) e Repubblicani (che riescono a mantenere il controllo della Camera dei Deputati e guadagnano altri tre governatori), per Obama ci saranno ben altri pensieri e priorità che non dare una mano all’Europa (o al Giappone), magari con un dollaro “forte” che aumenti le importazioni degli Usa dal resto del mondo.

Ma cosa rischiano esattamente gli States? Hanno fatto i conti gli analisti di Morgan Stanley e il risultato è preoccupante: entro fine anno scadranno i tagli alle tasse voluti dall’amministrazione Bush (circa 294 miliardi di dollari di controvalore per il 2013, pari all’1,9% del Pil atteso per fine anno), più alcune esenzioni fiscali sulle buste paga (126 miliardi di dollari, lo 0,8% del Pil), più altre misure sul reddito (legate al Medicare o agli investimenti azionari, per complessivi 111 miliardi, lo 0,6% del Pil). A questi bisogna aggiungere una serie di tagli automatici alle spese dopo il fallito tentativo di accordarsi per una riduzione del budget federale lo scorso anno (109 miliardi, lo 0,6% del Pil), più ulteriori riduzioni automatiche di spesa corrente (per circa 50 miliardi, lo 0,3% del Pil) e altre misure di “austerity” (per 140 miliardi, lo 0,9% del Pil).

Se avete tenuto i conti in tutto fa 830 miliardi tra maggiori tasse e minore spesa pubblica, di cui, precisano gli esperti di Morgan Stanley, circa la metà, 420 miliardi (il 2,7% del Pil), andrebbe già a pesare sul 2013, facendo quasi certamente entrare in recessione l’economia a stelle e strisce. Se pensate che nel frattempo anche la Cina continua a frenare e non sembra per nulla intenzionata a ridare gas solo per sostenere i mercati occidentali (semmai preferendo porre gradualmente un maggiore accento sullo sviluppo della domanda interna rispetto ad un’ulteriore crescita delle esportazioni) e che il Giapponeha già da anni i guai suoi (tanto che sono di questi giorni notizie preoccupanti circa la crisi di gruppi come Sharp o Pioneer) è chiaro che la ricetta Merkel fatta di austerity fiscale draconiana compensata da esportazioni esuberanti è chiaramente destinata a fallire.

Mario Draghi, presidente della Bce la cui politica troppo “disinvolta” e “a favore” dei PIIGS è stata a lungo vivacemente contestata dalla Germania lo sa bene e proprio oggi a Francoforte ha sottolineato come Berlino sia stata “a lungo isolata dalle difficoltà presenti nel resto dell’area euro, ma gli ultimi dati evidenziano che gli sviluppi della crisi stanno iniziando a colpire anche l’economia tedesca”. Per questo Draghi, che ha ricordato come l’azione di sostegno della Bce possa ridare fiducia a breve termine nell’area dell’euro, ma che “solo l’azione dei governi può assicurare fiducia nel lungo termine” e che giudica la disoccupazione nel vecchio continente “deplorevolmente alta” a fronte di un’attività economica “debole e che rimarrà debole nel breve periodo” anche se “gli investitori stanno tornando a investire” dopo la fuga dell’ultimo paio d’anni. suggerisce: “i governi (europei, ndr) hanno bisogno di lavorare insieme, per stabilire una più solida struttura istituzionale nell’area dell’euro”.

E’ quanto anche chi scrive fa notare, come molti altri colleghi più famosi, da alcuni mesi: l’unica soluzione per uscire dalla crisi europea non è sperare in aiuti esterni o in miracoli di varia natura, ma accelerare il processo di integrazione del vecchio continente finora rimasto a metà del guado (nella situazione peggiore possibile). Un processo che dopo molte incertezze, ricorda Draghi, “è iniziato a giugno attraverso il “Rapporto dei quattro presidenti”, del quale sono co-autore”. Un documento nel quale “sono stati identificati quattro pilastri fondamentali secondo i quali dovrebbe essere costruita una stabile e prosperosa unione monetaria: unione fiscale, finanziaria, economia e politica”. Una prospettiva di maggiore integrazione che finora non piaceva a Berlino (né a Parigi e per molti versi neppure agli altri paesi membri a partire dai PIIGS) ma che resta l’unica ricetta in grado di evitare un’ulteriore peggioramento della crisi che ormai dalla periferia è arrivata nel cuore stesso del vecchio continente.

Non sarà un caso che oggi pomeriggio la stessa Merkel abbia ammesso che la Ue “deve essere pronta a modificare i trattati, se necessario”, purché alle istituzioni europee sia concesso “di intervenire nel caso in cui i budget nazionali siano in violazione delle regole comunitarie”. Una precisazione che la dice lunga sulla diffidenza con cui ancora si guarda da parte di Berlino all’ipotesi di una maggiore integrazione con i “reprobi” del Sud Europa, ma anche della consapevolezza che il costo di rinviare ulteriormente decisioni che sembrano inevitabili se non si vuole andare incontro a guai ancora peggiori è ormai insostenibile. Il dado è dunque tratto, o almeno ci si sta convincendo che lo sia. Speriamo solo che si sappia anche spiegarlo agli elettori europei senza ricorrere a miti, leggende e favolette varie con cui ogni governo ha finora evitato di fare i conti con la realtà in casa propria.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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