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Scontri in Val di Susa

No TAV: storia di una battaglia che non finirà

La TAV Torino Lione, storia di una linea velocissima e di una galleria voluta da pochi e della costanza dei cittadini della Val di Susa: uno scenario che profila, per il momento, solo grandi incognite per il futuro.
A cura di Nadia Vitali
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No Tav, scontri e tensione in Val di Susa
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Scontri in Val di Susa

Un brusco risveglio quello di questa mattina: non solo per chi negli scontri delle prime luci dell'alba si è trovato coinvolto in prima persona, ma anche per tutti i cittadini comuni che, lontani da quel'angolo di Italia, sentono parlare di TAV e Val di Susa, solo quando questa notizia torna alla ribalta. Del resto è la consuetudine del nostro paese: roventi passioni, accorati appelli, grande partecipazione finché, per un motivo o per un altro, c'è bisogno di parlare e raccontare qualcosa. L'oblio più nero come fase successiva, in cui chi è direttamente coinvolto si sente abbandonato due volte: dalla situazione in cui si trova e dai suoi concittadini.

Quando si vedono immagini come quelle di poche ore fa, quando per far partire i lavori della tanto contestata linea ad Alta Velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione, la Polizia sfonda le barricate dei manifestanti che portano al cantiere dell'area di Maddalena di Chiomonte, ci si ritrova a fare i conti con realtà che non sono cambiate: perché nessuno è stato ascoltato, nessun tavolo di trattative si è aperto (un Osservatorio tecnico c'è stato, ma a giudicare dalla giornata di oggi non deve aver prodotto grandi risultati), per un po' si è solo tralasciato e volontariamente messo da parte quello scontro che quotidianamente o quasi avviene in Val di Susa, governato dalla più primitiva e barbara delle leggi universali, quella del più forte.

Un braccio di ferro in cui c'è chi sarà destinato inevitabilmente a soccombere e non è difficile immaginare chi, quando parole come democrazia e politica sembrano essere sempre più snaturate e svuotate di senso. Una lotta iniziata da venti lunghissimi anni e che, a giudicare dalla piega che sembrano aver preso gli eventi proprio questa mattina, potrebbe andare avanti, con i cantieri aperti che lavoreranno per dieci anni, distruggendo di fatto un territorio che era ancora incontaminato, creando tonnellate di materiale di risulta sul cui stoccaggio e sulle conseguenze di questo ci sono molte perplessità, andando a forare montagne per costruire 54 chilometri di tunnel con il rischio di provocare la dispersione di amianto ed uranio: questo secondo alcuni studi e rilievi condotti in quelle zone.

Ma i tempi stringono e un ulteriore ritardo nei lavori farebbe rischiare al nostro paese di perdere le cospicue entrate promesse dall'Unione Europea per la grande opera: una sola data all'orizzonte del Governo, quella del 30 giugno 2011, scadenza oltre la quale l'UE non stanzierà i 600 milioni di euro promessi. Ormai sono passati vent'anni dal primo accordo preso da Italia e Francia per l'ipotesi di un collegamento su ferro tra i due paesi per trasportare merci che, in un mondo in rapida trasformazione, vanno sempre più diminuendo: nel '90 se ne iniziò a parlare, nel '94 la TAV fece la sua prima comparsa in una finanziaria, nel gennaio del 2001 viene firmato a Torino l'accordo intergovernativo, tra le proteste di sindaci delle comunità locali ed attivisti. Tutto è pronto, insomma, nonostante quelli che vivranno sulla proprio pelle questa decisione non siano stati chiamati ad esprimere la propria opinione: del resto a cosa potrà mai servire, quando si avrà la possibilità di andare da Torino a Lione in un attimo? Nel 2005 iniziano i lavori per il tunnel esplorativo di Venaus, in valle Cenischia, con disordini già scoppiati un mese prima a Mompantero a causa delle trivelle piazzate per i sondaggi sul territorio: quel tunnel, quei 54 chilometri che potrebbero rivelarsi la disgrazia degli abitanti del luogo, gente comune coinvolta in una battaglia infinita che non ha la minima voglia di rinunciare al proprio diritto alla libertà di parola e di espressione. 54 chilometri su cui in tanti vogliono guadagnare senza troppi ostacoli.

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Il popolo dei No TAV, nonostante gli anni, tuttavia, non ha perso vigore e forza: al punto da costringere questa mattina le forze dell'ordine a ricorrere alla vigliaccheria dei lacrimogeni e alla vergogna della repressione. Bene informati sui pericoli che corrono, uniti con i loro amministratori, compatti fin dalle prime volte in cui sono saliti alla ribalta dei mezzi di informazione, con i gravi incidenti e disordini nel dicembre del 2005 quando le forze dell'ordine fecero irruzione violentemente nel presidio allestito a Venaus, gli attivisti sono un vero pericolo per chi pensa di agire sfruttando la disinformazione dei cittadini.

Il movimento No TAV costituisce un'alternativa, in questo paese talvolta così piatto e grigio e televisivo: un'alternativa ecologica e democratica, un'alternativa in cui comuni cittadini sono, o almeno provano ad essere, parte attiva del proprio paese, senza che questo comporti necessariamente l'uso della violenza e della bestialità. Lo hanno dimostrato in occasione dell Olimpiadi invernali del 2006, svoltesi a Torino nella massima tranquillità, nonostante si fosse paventata l'ipotesi di un sabotaggio dei giochi nei giorni precedenti; viceversa hanno cercato solo la visibilità, la possibilità di poter dire la loro, convinti, forse, che in un mondo migliore questo basterà ad evitare quello che oggi sembra davvero inevitabile. Quei lavori che inizieranno non saranno finiti prima del 2023: altre lunghe battaglie aspettano i No TAV, auguriamoci che la violenza di oggi non ne diventi la sola protagonista, deprimendo il senso di questa lotta.

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