Scusate se interrompo i festosi festeggiamenti di questo interminabile Sanremo ma il vincitore del festival si chiama Alessandro, è nato in Italia da una madre sarda (sempre che la Sardegna non sia stata sconnessa dallo Stato italiano e io mi sia perso la notizia) e da padre egiziano. La famosa seconda generazione, ricordate? Ecco, niente di eccezionale. Quindi non ripartite come con quella storia del corazziere del Quirinale che avrebbe dovuto essere uno schiaffo a Salvini e invece era semplicemente un italiano con tonalità di pelle più scura. È vero che è indecente la retorica e la propaganda del ministro dell'inferno sul ragazzo (ma c'è da stupirsene? Nel frattempo la giornalista Maria Giovanna Maglie ha scritto una roba del tipo: "Un vincitore molto annunciato. Si chiama Maometto. La frase in arabo c'è…", ormai davvero abbiamo stomaci abituati a tutto) ma è anche vero che è una cagata pazzesca venirci a raccontare che la sua storia sia un grande esempio di integrazione. Che un ragazzo nato a Milano stupisca perché sia capace di fare l'italiano può accadere solo ai volenterosi antirazzisti che alla fine Salvini l'hanno perfino introiettato.
Lasciate perdere. Non entrate nel gioco dell'italianità come purezza della discendenza e parlate di integrazione solo quando si tratta di qualcuno che è arrivato qui da straniero. Se proprio volete fare giornalismo allora piuttosto intervistate il padre di Alessandro e chiedetegli quanto sia stato diverso, rispetto ad oggi, ne sono sicuro, sposarsi e vivere con una donna della Sardegna. Se anche lui ha dovuto sopportare la ferocia e il sospetto che aleggiano in questi giorni. Non entrate in una competizione che non esiste, per favore. No. Vi prego, no.
Nel 1978 arrivò seconda a Sanremo una giovane cantante che di cognome faceva Hoxa e che aveva padre albanese. Quando vinse il festival 11 anni dopo qualcuno parlò di integrazione? Facciamo i seri, su, dai.
Mahmood ha vinto semplicemente perché la sua canzone è piaciuta agli italiani. Com'era quella storia? Legittimato dal popolo.