Niente ritorno dell’articolo 18 né reddito di cittadinanza: i no di governo e M5s sul Decreto Dignità
La discussione sul Decreto Dignità alla Camera dei deputati prosegue e nei prossimi giorni l’aula di Montecitorio dovrebbe dare il via libera al testo che passerebbe poi all’esame del Senato. I deputati stanno votando sugli emendamenti al provvedimento, con qualche polemica su alcune richieste di modifica presentate dalle opposizioni. Ieri è stato il caso dell’emendamento sul reddito di cittadinanza, oggi quello del ripristino dell’articolo 18. Il primo è stato bocciato dalla presidenza della Camera in quanto “estraneo alla materia”, il secondo è stato respinto dall’aula con conseguenti polemiche soprattutto nei confronti dei Cinque Stelle. L’emendamento presentato da Guglielmo Epifani, di Liberi e Uguali, prevedeva il ritorno dell’articolo 18 per difendere i lavoratori licenziati ingiustamente. L’emendamento è stato bocciato con 317 voti contrari, 191 astenuti e solo 13 voti a favore, quelli degli esponenti di LeU.
Critiche ai Cinque Stelle sono arrivate proprio dagli esponenti di LeU, a partire da Pier Luigi Bersani che all’Agi afferma: “Ho visto una scena deprimente e cioè farsi reciproci applausi di scherno tra chi l’articolo 18 lo ha tolto e chi non lo rimette”. Roberto Speranza, deputato di Liberi e Uguali, aveva invitato il M5s a votare l’emendamento così come prevedevano nel loro programma elettorale e parla ora di “Waterloo dei 5 Stelle che si rimangiano la promessa di ripristinare l’articolo 18”. Secondo l’autore dell’emendamento, Guglielmo Epifani, è “un’occasione persa per ridare veramente dignità ai lavoratori e alle lavoratrici”.
Attacca anche Laura Boldrini: “Di Maio in campagna elettorale: ‘Vogliamo ripristinare l’articolo 18’. Alla prova dei fatti invece cosa fa il M5s? Vota contro l’emendamento di Epifani che mirava a reintrodurlo. Il governo del cambiamento, sì, del cambiamento di idee”. Debora Serracchiani, deputata del Pd, afferma che il suo partito “prende atto che M5s e Lega lasciano intatto il Jobs Act voluto e attuato dai governi Renzi e Gentiloni. E lo fanno dopo che per tutta la campagna elettorale hanno detto che lo avrebbero abolito e reintrodotto l’articolo 18”.
Reddito di cittadinanza inammissibile
Ieri il deputato di Forza Italia, Antonino Germanà, aveva proposto un emendamento con il testo copiato da una misura presentata dal M5s durante la scorsa legislatura per introdurre il reddito di cittadinanza. Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha respinto questa richiesta di modifica, ritenendola “completamente estranea per materia”. “Sono cinque anni che descrivete le virtù miracolose del reddito di cittadinanza e ora che avete l’occasione di approvarlo la presidenza lo dichiara inammissibile a causa dell’estraneità della materia”, ha replicato Germanà.
Le altre modifiche e le polemiche
Il comitato dei 9 delle commissioni Lavoro e Finanze della Camera ha intanto deciso che non ci sarà nessuna modifica sulla norma transitoria per l’entrata in vigore delle novità sui contratti a tempo determinato, così come non ci sarà alcun cambio sui voucher. Il governo chiude quindi alla possibilità di modificare la tempistica di entrata in vigore della stretta sui contratti a termine, contrariamente a quanto richiesto dalle opposizioni. Le novità si applicheranno dunque ai contatti stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto e per rinnovi successivi al 31 ottobre 2018.
Il presidente del Pd, Matteo Orfini, attacca intanto il ministro del Lavoro Luigi Di Maio: “Siamo in aula da ieri a votare il decreto disoccupazione scritto da Di Maio. Che è qui con noi. Muto, da due giorni. Eppure sui social parla, parla, parla. Ma in aula di fronte a una discussione di merito ha perso le parole. Forse perché di questo decreto si vergogna anche lui”. E proprio sui social parla di nuovo Di Maio: “Nelle commissioni parlamentari abbiamo migliorato ancora il Decreto Dignità – scrive su Facebook – potenziando sia la lotta al precariato che il contrasto all'azzardo e la semplificazione fiscale. Ci avevano sempre detto che non era possibile aumentare i diritti, e che anzi bisognava tagliarli per tornare a crescere. La crescita non è arrivata, ma solo il record di contratti a termine e del precariato. Ora noi stiamo cambiando passo, tutelando il lavoro dagli abusi e le imprese dalla concorrenza sleale di chi prende i soldi pubblici e poi scappa in altri Paesi. Non finirà qui, è solo l'inizio”.