In un mondo in cui la crescita dovrebbe complessivamente irrobustirsi, che succederà in Eurolandia e in Italia in particolare? Prova a rispondere alla classica domanda da fine anno Dexia Asset Management che in un report diffuso oggi parla di “crescita senza sprint” (e dunque difficilmente in grado di far migliorare significativamente il mercato del lavoro, specie in Europa, ndr) a cinque anni dallo scoppio della crisi economica e finanziaria nell’autunno del 2008. Nel complesso secondo gli esperti francesi nei Paesi emergenti si vedrà un rallentamento strutturale, ma con alcune accelerazioni cicliche, mentre negli Stati Uniti ci sarà meno austerity e più crescita. In Eurozona ci si dovrà accontentare di mercati finanziari più calmi, ma persistono molti (probabilmente troppi) problemi per poter sperare di vedere qualcosa di più che una modesta ripresa.
Attenzione però: il diavolo si nasconde nei dettagli ed anche in uno scenario macroeconomico è bene andare a verificare cosa sta cambiando, dove e quanto, più che fidarsi delle medie. Anton Brender, direttore degli studi economici di Dexia Asset Management, spiega ad esempio che la Cina (modello a cui sembrano guardare sia le autorità tedesche sia molti imprenditori italiani), con lo sviluppo della propria economia ha riscontrato difficoltà nel mantenere elevati tassi di produttività. Tale rallentamento, spiega l’analista, ha a che fare anche con la riduzione dei disavanzi di parte corrente dei paesi sviluppati legata ai piani di riduzione dell’indebitamento che, pesando sulla domanda interna, frenano le possibilità di sbocco dei paesi emergenti. Insomma anche Pechino (e non solo) sta subendo il tentativo, sano in linea di principio ma da ricalibrare quanto a tempistica e misura, di riequilibrare i conti pubblici dell’Occidente, con politiche di austerity che non appartengono solo all’Europa ma anche (sebbene molto più blandamente) agli Stati Uniti.
Proprio negli Usa, secondo gli esperti francesi, dopo l’aumento di quest’anno, tasse e contributi sociali dovrebbero mantenersi stabili nel 2014, mentre “malgrado il rialzo dei tassi d’interesse ipotecari iniziato questa primavera, la ripresa del mercato immobiliare residenziale dovrebbe continuare” e i consumi (che negli States rappresentano circa il 70% del Pil, ndr) “trainati dalla crescita del mercato del lavoro e dall’aumento del potere d’acquisto delle famiglie, potrebbe accelerare nei trimestri a venire”. Il Pil dovrebbe dunque crescere del 2,5% nel 2014, nonostante un dollaro visto in ripresa (cosa che potrebbe dare un maggiore sfogo all’economia europea favorendone le esportazioni) e la prevista riduzione degli acquisti di bond sul mercato (“tapering”) da parte della Federal Reserve a breve.
Al di qua dell’Atlantico, a cinque anni dal collasso della finanza globalizzata, la zona euro è riuscita se non altro a ridurre gli squilibri interni di parte corrente e questo è già un risultato importante specie in vista del crescente malumore che sta agendo da “collante” per le forze anti-euro e anti-comunitarie. Tuttavia, non avendo adeguato il passo della stretta fiscale ai comportamenti di spesa del settore privato e al contesto globale, notano gli esperti di Dexia, tale riequilibrio ha avuto delle conseguenze drammatiche sulle attività economiche (scaricandosi pesantemente sul mercato del lavoro specie nel Sud Europa, anche a causa dei cattivi modelli presi a riferimento come possibile soluzione, aggiungo io). E mentre negli Stati Uniti proseguiva la crescita, a fine 2011 l’Eurozona è ripiombata nella recessione e solo ora sembra poterne uscire, grazie alla continua azione distensiva della Bce e ad un sia pur minimo allentamento della repressione fiscale.
Se la fiducia delle famiglie mostra segni favorevoli e i consumi sono in via di stabilizzazione, aggiunge l’economista Florence Pisani, (sempre di Dexia), nel 2014 “con la lenta ripresa dell’occupazione si dovrebbe registrare un ulteriore lieve miglioramento” mentre gli investimenti produttivi dovrebbero stabilizzarsi. Inutile illudersi tuttavia: “una ripresa più marcata appare poco probabile” spiega l’esperto, dato che “i tassi di produttività restano bassi e la domanda percepita dalle imprese è ancora debole. In questo contesto, la crescita dell’eurozona dovrebbe attestarsi intorno all’1% nel 2014” con molte sfide ancora da superare, a partire dall’Asset quality review e dagli stress test della Bce di cui vi ho più volte parlato. Ancora peggio, “i mancati investimenti degli ultimi anni, unitamente all’invecchiamento della popolazione, hanno probabilmente influito sul potenziale di crescita dell’eurozona”, come dire che la tendenza a gestire la crisi sui tempi lunghi sta bruciando le speranze di un’intera generazione (e questo dovrebbe essere qualcosa di cui la classe dirigente politica, non meno che economica, farebbe bene a tenere a mente se vuole evitare pericolose derive populistiche già ora molto visibili anche in Italia).
Inoltre, se l’aumento del rapporto debito pubblico/PIL è in frenata, “una sua significativa riduzione richiederà importanti sforzi fiscali ancora per molti anni” per Pisani, diversamente, aggiungo io, in presenza di una crescita che resti inferiore ai tassi sul debito e in assenza di riforme strutturali, la matematica renderà da ultimo inevitabile procedere a una qualche forma di ristrutturazione del debito per i paesi maggiormente indebitati come l’Italia. Da ultimo, conclude l’economista, “l’incertezza politica resta un dato di fatto e, alla vigilia delle elezioni del 2014, la rimonta dei partiti antieuropeisti può essere fonte di preoccupazione” anche se “la Bce continuerà nella sua politica audace e farà tutto il possibile per salvaguardare l’euro”. Speriamo basti a far uscire il continente dal pantano in cui si è andato ad arenare.