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Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta)

Violenze in carcere a Santa Maria, la furia dei poliziotti: “Questo è il capolinea, qui ti uccidiamo”

Nell’ordinanza dell’inchiesta sulle presunte violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) viene ricostruito anche il pestaggio di un detenuto trasferito dopo una rivolta avvenuta a Velletri. L’uomo viene picchiato più volte, mentre gli agenti gli dicono: “Qui è il capolinea, qui ti uccidiamo”. Un episodio, risalente a un mese prima, che contribuisce a ricostruire il clima nel carcere sammaritano.
A cura di Nico Falco
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Un detenuto trasferito da Velletri dopo una rivolta e aggredito da più poliziotti all'arrivo in carcere, picchiato così forte che per la paura si era urinato addosso. E picchiato di nuovo, poco dopo, mentre veniva accompagnato in infermeria, con la minaccia: "Qui è Santa Maria, questo è il capolinea, qui ti uccidiamo". L'episodio risale al 10 marzo 2020, viene citato nell'ordinanza da 52 misure cautelari nei confronti di agenti della Polizia Penitenziaria e funzionari del Dap e contribuisce a ricostruire il clima che si viveva nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), travolto dall'inchiesta giudiziaria con 117 indagati scaturita dalle denunce di violenze del 6 aprile 2020.

Il detenuto punito per la rivolta di Velletri

Lo stesso detenuto, secondo le accuse, è tra quelli picchiati e torturati il 6 aprile, quando ci furono le perquisizioni straordinarie dopo la rivolta in carcere, per gli inquirenti una vera e propria rappresaglia. L'uomo, viene ricostruito nell'ordinanza, viene raggiunto da diversi agenti nella sua cella del Reparto Nilo, uno di loro strappa la zanzariera alla porta. Gli viene intimato di tagliarsi la barba, ma il detenuto rifiuta perché per lui ha un significato emotivo, essendo un segno di lutto per la morte del padre. Viene quindi obbligato a raggiungere la sala della socialità, e durante il tragitto viene picchiato con calci, pugni e manganellate dagli agenti schierati sui due lati del corridoio.

Una volta nella sala ricreativa, dove ci sono almeno altri 20 detenuti, tutti del reparto Nilo, l'uomo si inginocchia con le mani dietro la testa. Tra gli agenti c'è anche uno di quelli che lo avevano picchiato nei giorni precedenti, che gli si avvicina e, armato di manganello e scudo e insieme a un altro agente, lo costringe a strisciare con le ginocchia per mettersi faccia al muro, continuando a colpirlo. "Questo è mio, questa è una crema buona – dice il poliziotto – è il guappetiello di Velletri".

Il poliziotto, ricostruisce il gip, dice agli altri agenti che il detenuto proviene dal carcere di Velletri e lo accusa falsamente di avere partecipato alla rivolta dei detenuti. Da qui, un altro pestaggio con manganellate al collo e alla schiena, violenti calci alla schiena e ginocchiate, mentre gli dicono: "Qui non sei a Roma, qui sei a Santa Maria, qui ti uccidiamo, ora rimani da solo".

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"Vi veniamo a prendere di notte"

Nell'ordinanza diversi detenuti, ripercorrendo la protesta che aveva portato alla rappresaglia, raccontano le minacce e i pestaggi avvenuti il 6 aprile. Oltre alle percosse, le umiliazioni: sputi in faccia e in bocca, perquisizioni personali con colpi sui fianchi, insulti. Un detenuto racconta che, mentre era nell'area passeggio con altri reclusi, più volte gli agenti si erano avvicinati alla porta e li avevano minacciati dicendo: "Napoletano di merda, vi dobbiamo rompere il culo, ora non state nemmeno tranquilli quando dormite, vi veniamo a prendere di notte".

Altri detenuti raccontano una irruzione che sarebbe avvenuta in quelle stesse ore. Alcuni agenti, si legge nell'ordinanza, avevano costretto un detenuto a spogliarsi e lo avevano colpito ripetutamente con schiaffi, calci nello stomaco, pugni e con manganellate a testa e schiena, per poi trascinarlo lungo il corridoio della sezione. E, mentre lo pestavano, gli avrebbero detto: "Oggi appartieni a me, sono io che comando, sono lo Stato, comando io oggi".

La reggente in chat: "Ormai ho la lingua biforcuta"

Nelle chat acquisite dalla Procura sammaritana figurano anche quelle tra i dirigenti e il provveditore per le carceri della Campania, Antonio Fullone (destinatario di misura di interdizione). In una di queste il direttore reggente (che fa le veci della direttrice, in quei giorni assente per motivi di salute), informa il provveditore sulle richieste che arrivano dall'esterno, dal Sindaco di Santa Maria Capua Vetere e dai giornalisti.

La donna, ritenuta dagli inquirenti tra gli istigatori delle violenze, dice di avere risposto indicando il Provveditore come riferimento per qualsiasi chiarimento, "per evitare fughe di notizie e domande insidiose". Poi, aggiunge, in merito a una richiesta arrivata dall'agenzia giornalistica Ansa: "Ho colto l'occasione, ormai ho una lingua biforcuta, per invitarli a filtrare ogni notizia in quanto anche la più semplice informazione può in questa fase delicata creare allarmismo… chi ha orecchie, intenda".

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