Vestiti di marca in offerta sui social, ma erano falsi da Cina e Turchia: 21 indagati

A guardare le vetrine di quell'e-commerce, sembrava di avere a portata di mano l'affare della vita: abiti firmati, ultime collezioni, prezzi insolitamente bassi. O, meglio, non troppo bassi, per non insospettire il cliente: chi acquistava, infatti, era convinto di prendere vestiti firmati, in realtà quelle che gli arrivavano a casa erano imitazioni importate dalla Cina e dalla Turchia. Un business milionario, per il quale la Procura di Napoli ha notificato 21 avvisi di conclusione delle indagini nei confronti di altrettante persone.
La base operativa dell'organizzazione, hanno ricostruito gli inquirenti, si trovava nell'hinterland a nord di Napoli. Era da lì che il gruppo coordinava approvvigionamenti, vendite e spedizioni. Dalle indagini, coordinate dal sostituto procuratore Ilaria Sasso del Verme, è emerso che gli indagati avevano messo in piedi un sistema di e-commerce efficiente, spartendosi i ruoli ed occupandosi ognuno di un diverso aspetto, in modo da ottimizzare tempi e soprattutto guadagni. Ad occuparsi dei rifornimenti, e delle vendite, erano i promotori e gli organizzatori dell'associazione. E i canali erano, naturalmente, quelli non ufficiali: non un sito web di riferimento con relativo negozio, ma tutto tramite scambi di messaggi sui social e su WhatsApp.
Una volta pubblicate le foto, quindi lanciato l'amo, rimaneva solo da aspettare. Con offerte decisamente appetibili, l'attesa non durava molto. Quindi, seconda parte: contrattazione, conclusione della vendita e infine la consegna, che veniva effettuata attraverso una ditta di spedizioni. I contatti erano tramite chat anche con i fornitori cinesi: in quel caso, però, l'organizzazione non usava WhatsApp ma WeChat, l'app di messaggistica più usata in Cina che contempla pagamenti elettronici e numerosi altri servizi legati al quotidiano come prenotazione di taxi e ordinazione di cibo.