Ultras, clan del Pallonetto, Pignasecca e Quartieri Spagnoli dietro gli scontri di Napoli
No, non è una notte di scontri che nasce da uno spontaneo malcontento. Dietro la guerrilla che ha messo a ferro e fuoco il borgo di Santa Lucia c'era una strategia chiara che ha poco a che vedere con la protesta spontanea. Al netto di alcuni gruppi di commercianti esasperati dai duri mesi di pandemia, quello che è accaduto stanotte a Napoli nasce qualche ora prima nei vicoli del centro antico. La voce si sparge tra il Pallonetto, Quartieri, fino alla Pignasecca: "Tu vai là, tu là, tu da quella parte". Un'organizzazione che solo i clan e gli ultras del centro storico possono assicurare. Hanno sparso la voce attraverso i social e le applicazioni di messaggistica istantanea: "Stasera amma scassa' tutte cose". È questo il tenore dei messaggi che si sono scambiati usando la tecnologia.
Un salto di qualità nell'organizzazione degli scontri che va avanti, sulle app di messaggistica istantanea, dai tempi del primo lockdown. Pochi giorni prima che il governo stanziasse un extra budget da distribuire attraverso i comuni, su Telegram, e non solo, l'area "grigia" della città che da sempre convive con la criminalità, si è aggregata in gruppi in cui si parlava (e non solo) di assaltare i supermercati (o peggio). Quelle stesse chat sono riesplose nelle ore immediatamente successive all'annuncio del lockdown. Discorsi che hanno trovato terreno fertile tra gli esercenti duramente colpiti dal primo lockdown. Una strategia affinata nelle ultime ore in cui si è proceduto a organizzare quella che poi si è rivelata essere una vera e propria guerrilla urbana con ragazzi e uomini che arrivavano a frotte su motorini e moto di grossa cilindrata.
Tra le fila dei manifestanti persone note per il loro pedegree. Una su tutte, vecchia conoscenza di questo giornale, è Giorgio Mascitelli, figlio di Bruno Mascitelli, detto O' Canotto, boss dell'omonimo clan.
Le proteste contro il coprifuoco espediente per regolare i conti
Dietro le proteste si sono mossi gli storici clan dell'area del centro antico della città affiancati dagli ultras che hanno mal tollerato la querelle sulla partita con la Juventus. Non solo, con il boom del turismo molte attività di ristorazione che avevano assorbito la "manovalanza" vicina ai clan sono andate in crisi. La riduzione del personale ha lasciato molti di loro senza lavoro, spingendoli a tornare nei ranghi delle proprie organizzazioni.
Un mix fatto di anime diverse, sempre sul filo tra legalità e illegalità: organizzatori di concerti in piazza per neomelodici, bagarini, parcheggiatori abusivi, "pacchisti" storici, etc, etc… Un mondo variegato, l'humus di una miscela esplosiva che è divampata in poche ore fomentata, anche, da gruppi di estrema destra che da mesi soffiano sul fuoco della protesta. Le forze dell'ordine si sono trovate spiazzate, incapaci, tecnologicamente arretrate, senza il know how di inserirsi nei gruppi on line e monitorare ciò che stava accadendo. Così, una protesta di pochi esercenti, è diventata il redde rationem di un malessere covato e alimentato da mesi. Ciò che preoccupa, ciò che spaventa, non è l'evento in sé, ma la sua replicabilità. Le armi spuntate, tanto tecnologiche quanto culturali, con le quali stiamo combattendo questi gruppi on line sanno tanto di passato più che di una moderna capacità di ascolto. L'Italia sta arrivando tardi su tutti i nodi cruciali di questo momento storico, anche su questo. Ma certi ritardi e certi errori in una città come Napoli, possono costare carissimo.