Ucciso per una foto con Lavezzi: ora la madre potrà accedere ai benefici per le vittime innocenti di camorra
Dopo 14 anni di battaglia legale arriva quello che potrebbe essere il punto di svolta per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge per la madre di Gianluca Cimminiello, il tatuatore di 31 anni ucciso dalla camorra per un litigio nato per una foto del calciatore Lavezzi, all'epoca idolo della tifoseria napoletana. Il percorso era rimasto impantanato per anni per via dei precedenti penali di alcuni lontani parenti del padre della vittima, ma ora il Ministero dell'Interno dovrà nuovamente esprimersi sull'istanza: la norma su cui aveva basato il rigetto, quella appunto relativa al quarto grado di parentela, è stata dichiarata incostituzionale e di conseguenza il decreto con cui erano stati negati i benefici è stato dichiarato illegittimo.
L'omicidio di Gianluca Cimminiello a Casavatore
Cimminiello è stato ucciso sulla soglia del suo centro tatuaggi, lo "Zendark tattoo", sulla Circumvallazione esterna di Napoli, a Casavatore (Napoli), il 2 febbraio 2010. Il sicario (identificato in Vincenzo Russo, già condannato in via definitiva per l'omicidio) lo ha chiamato per nome e, appena il 31enne si è voltato, gli ha sparato.
Le indagini hanno ricostruito quello che era successo prima. Tutto era nato da una foto che Cimminiello aveva pubblicato sui social e che lo mostrava insieme al "Pocho". Quell'immagine, in realtà un fotomontaggio, aveva irritato un tatuatore di Melito, che gli aveva scritto che soltanto lui avrebbe dovuto tatuare il calciatore. I due avevano discusso e il rivale gli aveva detto che sarebbe andato da lui in negozio.
L'altro tatuatore, però, secondo gli inquirenti si era rivolto al clan Amato-Pagano e nel centro tatuaggi si erano presentati in tre. La spedizione intimidatoria non aveva però sortito gli effetti sperati: Cimminiello, che era anche un kickboxer, non solo aveva reagito ma li aveva messi in fuga. Da qui la successiva ritorsione, questa volta a colpi di pistola.
Illegittimo il rigetto del Ministero
Nonostante le sentenze, già definitive, abbiano riconosciuto l'estraneità di Cimminiello a dinamiche criminali e ricostruito la genesi del suo omicidio, la madre, Nunzia Rizzo, non ha mai potuto accedere al riconoscimento previsto dalla legge del 1990 per i parenti delle vittime innocenti di mafie. Per due motivi: la donna nel 1985 aveva denunciato (e fatto condannare) il marito per violenze e dagli accertamenti era emerso che alcuni cugini del marito hanno dei precedenti penali. Questo nonostante nel procedimento partito nel 1985 la donna fosse (naturalmente) parte offesa e nonostante con quei familiari lontani non vi fossero più rapporti dai primi anni '80 e non vi fossero più legami nemmeno col marito, dal quale si era separata nel 1987 e che è deceduto in Belgio dove si era trasferito.
Il 4 luglio scorso, con la sentenza numero 122, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la parte di normativa sulle parentele di quarto grado (articolo 2-quinquies comma 1 lettera a del Decreto Legge 151 del 2008). Sulla base di questa pronuncia il Tribunale di Napoli ha accolto, qualche giorno fa, la domanda della madre di Cimminiello (assistita dall'avvocato Giovanni Zara), e ha decretato l'illegittimità del decreto del Ministero che aveva rigettato la richiesta di benefici motivandola con la presunta non estraneità della donna ad ambienti criminali per via delle parentele del marito.