Uccise la moglie in casa, Lino Pinto temeva vendetta della camorra sui figli. È morto d’infarto dopo il gesto
Avrebbe avuto paura che la camorra si sarebbe vendicata di lui colpendo i suoi figli e così, quando non sarebbe riuscito a contattarli, avrebbe litigato con la moglie, accusandola di non averli protetti adeguatamente, e l'avrebbe uccisa, per poi morire di infarto poco dopo. Sarebbe questo, secondo una delle ipotesi al vaglio degli inquirenti, il retroscena dietro la tragedia di San Giovanni a Teduccio, Napoli Est, dove, agli inizi di febbraio, l'ex guardia giurata Pasquale Pinto ha ucciso Eva Kaminska, 48enne di origini polacche, ed è stato trovato morto quando la Polizia di Stato è riuscita ad entrare nell'appartamento.
Lino Pinto morto di infarto, escluso l'avvelenamento
Quella mattina Pinto, dopo aver ammazzato la moglie con numerose coltellate e a colpi di pistola, si era sporto dalla finestra del palazzo di via Raffaele Testa e aveva esploso dei colpi anche verso la strada. Era stata chiamata la Polizia, che era intervenuta anche con le Unità Operative di Primo Intervento e con un mediatore. Dalle prime notizie circolate era emersa l'ipotesi che l'uomo avesse ucciso la moglie, ma la conferma era arrivata soltanto quando gli agenti erano riusciti a entrare in casa.
Accanto a Pinto, anche lui ormai senza vita, la bottiglietta da cui lo avevano visto bere spesso poco prima: da qui l'ipotesi che si fosse avvelenato o che avesse assunto dei farmaci. L'autopsia ha poi, però, scartato questa possibilità: si trattava soltanto di acqua, a stroncare il 54enne era stato un arresto cardiaco.
Il terrore della vendetta della camorra
Negli ultimi tempi, in base a informazioni acquisite dagli inquirenti, Pinto era terrorizzato dall'idea che la camorra volesse vendicarsi di lui e che lo avrebbe fatto colpendo i suoi figli. Una convinzione che sarebbe nata per un episodio risalente a quando ancora lavorava come guardia giurata: avevano tentato di rapinarlo della pistola ma lui si era opposto ed era riuscito a salvare l'arma.
Era stato però minacciato e, col passare del tempo, in lui la paura si era trasformata in paranoia, acuita anche dalla successiva perdita del lavoro. Per questo motivo avrebbe più volte discusso con la moglie, che secondo lui non controllava adeguatamente gli spostamenti dei figli. Quell'8 febbraio, a scatenare la discussione, sarebbe stata l'impossibilità di mettersi in contatto coi ragazzi e la paura, nella sua testa divenuta certezza, che fosse loro successo qualcosa.