Avete sentito il silenzio assordante di queste ore intorno alla vicenda di Giuseppe Fusella e Tullio Pagliaro, 26 e 27 anni, ammazzati da un uomo che credeva fossero due ladri? L'assassino, Vincenzo Palumbo, ha detto proprio così, pensava fossero ladri. E ha preso la pistola dal cassetto, legalmente detenuta. Ha fatto fuoco non una, non due, non tre volte. Ha fatto fuoco non quattro volte, non cinque volte. Ha sparato 5 volte, Palumbo, tutte sull'auto dei ragazzi (i proiettili esplosi alla fine risulteranno 11, undici!). E li ha uccisi entrambi, colpi alla testa. Una mira da cacciatore di selvaggina. La stradina sterrata di Ercolano si è inondata di sangue e di silenzio.
Non parla nessuno, soprattutto le destre che invece poi bombardano periodicamente sulla necessità di leggi per la legittima difesa. Ora sono tutti troppo occupati a dire che in questi casi «si fa silenzio». E invece no, la morte di questi ragazzi è la dimostrazione, l'ennesima, che la sicurezza individuale non deve e non può essere affidata all'uso di pistole e fucili tenute nel cassetto. Che significa «legalmente detenuta» se poi un uomo usa un'arma per sparare ad alzo zero contro gente disarmata e per di più innocente (anche se non è certo un privato cittadino a dover dare patenti di innocenza o colpevolezza a nessuno)? È una sentenza di morte in mano ad una persona della cui sanità mentale nulla si sa.
Giuseppe e Tullio avevano vita davanti, avevano sogni, aspettative, amore da dare ad amici, a genitori, ai loro cari. La loro morte è un fatto che tutta la società deve caricarsi. Non è da rubricare a vicenda di cronaca e non può passare solo come tale. La loro storia non va dimenticata.
(articolo aggiornato il 30 ottobre, ore 15.30)