Perché la Procura voleva arrestare Tina Rispoli per camorra e il giudice ha detto no
Ai vertici del clan per la Procura di Napoli, messa ai margini dal gruppo criminale dopo la morte del marito secondo il gip che ha negato l'arresto. Ruota anche intorno alla figura di Tina Rispoli, vedova del boss Gaetano Marino ed oggi moglie del cantante neomelodico Tony Colombo, l'inchiesta che, due giorni fa, ha portato all'emissione di 10 misure cautelari nei confronti di altrettanti indagati (dei 32 totali), finiti 2 in carcere ed 8 agli arresti domiciliari; sarebbero riconducibili al clan Marino di Secondigliano.
Le misure cautelari sono state emesse per spaccio di droga aggravato e non per associazione. Tina Colombo, al secolo Immacolata Rispoli, 46 anni, mai coinvolta in inchieste giudiziarie prima di oggi, resta indagata per associazione mafiosa (articolo 416 bis).
Perché è stato chiesto l'arresto per Tina Rispoli
I pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra contestano alla donna di avere fatto parte, dal 2011 al 2016, del clan Marino, guidato, tra gli altri, dal marito (ucciso in un agguato nel 2012 a Terracina), dal cognato e dal nipote di quest'ultimo. Ai vertici del clan c'era anche il collaboratore di giustizia Gianluca Giugliano, reo confesso killer dei Marino, che era fidanzato con Maria, la sorella di Tina.
Secondo i pm, sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle intercettazioni degli altri indagati, Tina Rispoli in quel periodo avrebbe ricoperto un ruolo di primo piano, tanto da gestire insieme ad altri la cassa comune; inoltre la donna e il nipote Crescenzo, figlio del cognato Gennaro Marino "Mekkey", avrebbero percepito una quota dei proventi della droga.
Perché il gip ha respinto la richiesta d'arresto
Di diverso avviso, però, le conclusioni del gip Anna Tirone, che ha rifiutato la richiesta di emissione di misura cautelare in carcere sia per la donna sia per il nipote. Secondo il magistrato, infatti, nonostante le intercettazioni e le dichiarazioni dei testimoni di giustizia, non sono emersi elementi concreti che potessero giustificare le manette.
Anzi, da alcuni dialoghi intercettati, sottolinea il gip, si evince che in quel periodo, successivo alla morte del marito, la donna era stata messa ai margini del gruppo criminale e non ci sono prove che sapesse della provenienza illecita dei soldi che, secondo altri indagati, avrebbe ricevuto.
Lo stesso Roberto Manganiello, ritenuto reggente del clan, aveva inoltre dichiarato di non avere mai avuto a che fare con Tina ma soltanto col marito, Gaetano Marino. Infine, secondo il gip, la distanza tra la donna e il clan emergerebbe anche dal fatto che al suo matrimonio non era presente nessuno dei parenti dell'ex marito ucciso.
Tony Colombo e Tina Rispoli da Barbara d'Urso
La coppia si è sposata nel marzo 2019. Il matrimonio era stato al centro dell‘inchiesta giornalistica di Fanpage.it "Camorra entertainment", che aveva dimostrato la presenza alle nozze di diversi personaggi della malavita organizzata dell'area nord di Napoli. La pomposità delle celebrazioni aveva fatto scattare una inchiesta della Procura legata alle autorizzazioni.
Ospiti in quel periodo di diverse trasmissioni televisive, tra cui quelle di Barbara d'Urso e di Massimo Giletti, rispettivamente su Mediaset e su La7, Tony Colombo e la neo moglie si erano difesi rimarcando che la donna non era mai stata coinvolta in inchieste giudiziarie e affermando di stare pagando per colpe non proprie.
Tina Rispoli: "Non sapevo che mio marito fosse camorrista"
Sempre durante le trasmissioni televisive, e anche in tribunale quando era stata chiamata a deporre in merito all'agguato, Tina Rispoli aveva affermato di non conoscere il lavoro del marito e di non sapere che fosse ai vertici di un clan di camorra.
In varie occasioni, alle domande sulle decine di proprietà intestate aveva risposto che i soldi con cui viveva la famiglia provenivano dal risarcimento che aveva avuto Gaetano Marino per aver perso entrambe le mani (verosimilmente per una bomba esplosa durante una guerra di camorra) e dalla conseguente pensione di invalidità.
Piazza di spaccio del clan Marino, 3 milioni di euro all'anno
Gianluca Giugliano ha scelto di diventare collaboratore di giustizia all'indomani dell'omicidio di Gaetano Marino, perché temeva di venire a sua volta ucciso insieme a Manganiello e ad Angelo Marino, familiari dei capiclan. Ha raccontato che il clan gestiva storicamente la piazza di spaccio delle Case Celesti, dove si vendevano cocaina, eroina, crack, kobret ed hashish. Il ricavato, al netto del pagamento dei "dipendenti" (a cui andavano tra gli 1,5 e i 2 euro per ogni pezzo venduto), veniva per metà reinvestito nell'acquisto di droga e per il restante diviso ai "soci".
Dice Giugliano, in un verbale del 24 gennaio 2013 riportato in ordinanza:
Io sono entrato in quota fissa nel febbraio/marzo del 2012 una quota (delle sei che venivano erogate) valeva 15-20mila euro al mese. Le altre cinque erano, una di Gaetano Marino, una di Gennaro Marino, una di Roberto Manganiello, una di Angelo Marino, una di Francesco Barone.
Parlando di Gaetano Marino, detto "Moncherino", Giugliano aveva raccontato:
era abilissimo nel tagliare la droga, soprattutto eroina, ma era bravo anche nel maneggiare gli esplosivi, anche se venne mutilato proprio in un'esplosione di una bomba, in un agguato che volevano fare ad esponenti del clan Puca. Mi hanno detto, tra gli altri Angelo Marino, che Gaetano Marino aveva preso due miliardi di vecchie lire dall'assicurazione per la mutilazione
I soldi sarebbero stati investiti in case e in gioielli. «La moglie Immacolata Rispoli ha anche beni intestati, tra cui le case acquistate con i proventi della droga – aveva continuato il collaboratore – non so di altri beni, terreni, ma non ha negozi o attività, che io sappia».