Tina Rispoli ai domiciliari, Tony Colombo resta in carcere: a marzo la sentenza
Tina Rispoli potrà attendere la sentenza agli arresti domiciliari, mentre Tony Colombo, almeno per il momento, dovrà aspettare in carcere. Ultima tappa dell'iter processuale che vede coinvolti i due coniugi insieme a Vincenzo Di Lauro: sono accusati di avere attivamente collaborato con il figlio del capoclan Paolo Di Lauro nelle attività imprenditoriali e finanziarie del gruppo di camorra di Secondigliano, in particolare nell'affare della fabbrica di sigarette clandestina allestita ad Acerra, nel Napoletano. La sentenza, con rito abbreviato, è attesa per il 7 marzo 2025.
Ai domiciliari Tina Rispoli con braccialetto
Il Tribunale di Napoli ha accolto l'istanza presentata dagli avvocati di Tina Rispoli, Sergio Cola e Andrea Imperato, concedendo gli arresti domiciliari, con applicazione del braccialetto elettronico, a Minturno (Latina); la Dda aveva dato parere favorevole all'attenuazione della misura cautelare del carcere.
Il gip ha ritenuto ridimensionate le esigenze cautelari per la donna, che era stata arrestata il 17 ottobre 2023 insieme al marito e a Vincenzo Di Lauro; in quella occasione i carabinieri del Ros di Napoli avevano notificato misure cautelari a 27 persone, nell'ambito di una indagine (coordinata dai sostituti procuratori Maurizio De Marco e Lucio Giugliano) sulle attività del clan di via Cupa dell'Arco, il cui vertice era stato individuato in Vincenzo Di Lauro.
Tony Colombo detenuto ad Avellino
Per il momento gli avvocati Sergio Cola e Alfredo Sorge, che difendono Tony Colombo, non hanno presentato istanza per chiedere anche per il neomelodico l'attenuazione della misura cautelare; sono in corso valutazioni, ma il 38enne per ora resta nel carcere di Ariano Irpino (Avellino), dove era stato trasferito da quello di Secondigliano.
Per entrambi l'accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa e di partecipazione finalizzata al contrabbando di sigarette. In diverse intercettazioni Colombo parla con Raffaele Rispoli della fabbrica di Acerra, recuperati anche i messaggi in cui gli veniva mostrato il packaging dei pacchetti; la donna, invece, si è difesa sostenendo che l'affare fosse soltanto gestito da fratello e di non avere avuto alcun ruolo, né organizzativo né come finanziatrice.