Emergenza Rifiuti

Terra dei fuochi e la sentenza della Cedu: “Il commissario è l’antitesi di ciò che dice la Corte”

La sentenza della Cedu obbliga alle bonifiche ma anche al coinvolgimento della società civile. La nomina del commissario straordinario non rispetta le indicazioni dell’organo di giustizia europeo.
A cura di Antonio Musella
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La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che condanna l'Italia sul caso della Terra dei fuochi, stabilisce una verità storica che nonostante le mobilitazioni popolari, nonostante le evidenze, ancora, dopo oltre 10 anni, qualcuno fatica ad affermare. Per l'organo europeo di giustizia l'Italia non ha fatto tutto il possibile per salvaguardare la salute dei cittadini e dell'ambiente, ed ordina di procedere alla caratterizzazione dei rifiuti, la perimetrazione delle aree inquinate e le bonifiche con urgenza. Una sentenza che si può definire storica se si pensa al livello di mobilitazione e di consenso popolare maturato intorno a questa storia di veleni e morte che attanaglia la Campania.

L'impatto sulle istituzioni però è stato tutt'altro che positivo. Da un lato la Regione Campania, pochissimi minuti dopo l'emissione della sentenza, con un tempismo da record, si è affrettata a dire che si tratta di episodi antecedenti al 2013. Falso, perché nelle oltre 180 pagine della sentenza sono riportati operazioni di sequestro e scoperta di discariche abusive pericolose fino al 2021. Dall'altro il governo ha deciso di nominare un Commissario straordinario per la terra dei fuochi. Un atto che arriva dopo che il governo Meloni, in linea con quello di Draghi, ha cancellato la direzione bonifiche del Ministero dell'Ambiente.

Soprattutto la nomina di un commissario straordinario sembra essere l'esatto opposto di quello che indica la sentenza della Cedu, che piuttosto che dei poteri straordinari, fa appello alla partecipazione della società civile. Ne abbiamo discusso con due degli avvocati che hanno presentato il ricorso alla Cedu.

"La Corte Europea era l'ultima spiaggia"

Era il 2014 quando fu presentato il ricorso alla Corte europea per i diritti dell'uomo sul caso della Terra dei fuochi, l'area tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, afflitta da roghi di rifiuti tossici, interramento di rifiuti industriali e pericolosi ed una produzione industriale completamente a nero che vedeva lo smaltimento sistematico dei rifiuti in maniera illegale nelle campagne. Al tempo le piazze erano invase da una mobilitazione popolare durata per anni, partita dalla manifestazione di oltre 100 mila persone a Napoli, il 16 novembre del 2014. Un tema che divenne ben presto un caso nazionale, grazie anche alle storie drammatiche che emergevano dalla terra dei fuochi, come le mamme che vedevano morire i propri figli di tumori rarissimi ed aggressivi. "Per noi era quasi l'ultima spiaggia – spiega a Fanpage.it, Armando Corsini, uno degli avvocati che presentò il ricorso – perché in tutti i tavoli istituzionali in cui si discuteva della terra dei fuochi, si parlava tanto ma i problemi restavano gli stessi. Venivamo da grandi mobilitazioni e sapevamo che c'erano delle violazioni rispetto alla tutela della salute delle persone e dell'ambiente". Oltre alle manifestazioni, quel movimento fu caratterizzato dalla capacità di intraprendere ogni strada possibile per arrivare alla bonifica e messa in sicurezza del territorio.

E mentre le storie di lutto e di inquinamento scuotevano l'opinione pubblica nazionale, la politica era incapace di dare risposte. Una incapacità dettata, ma solo in parte, dalle proporzioni del problema, un'area vastissima dove la camorra aveva interrato rifiuti industriali per anni, come rivelarono i pentiti, e dove, ancora oggi, gli scarti delle produzioni industriali a nero vengono date alle fiamme. Al tempo furono molti i Ministri della Repubblica che sostennero che l'aumento delle malattie tumorali era dovuto ai "cattivi stili di vita" e non all'inquinamento ambientale. Uno schiaffo sulla faccia di chi riempiva le piazze e continuava a vedere i propri cari morire o ammalarsi. Con il passare degli anni la possibilità di un intervento delle istituzioni per bonificare il territorio diventava sempre meno concreta. Poi nel 2018 molte di quelle istanze entrarono prepotentemente nel programma del Movimento 5 Stelle, che forze più di ogni altra forza politica raccolse consensi da quel movimento. Consensi che però non hanno mai coinciso con una reale percezione di intervento importante e strutturale sul tema della terra dei fuochi.

La manifestazione "stop biocidio" del 16 novembre 2014
La manifestazione "stop biocidio" del 16 novembre 2014

Le storie: dal caso Cannavacciuolo alle mamme coraggio

Le stesse storie di malattia e lutto legato all'inquinamento del territorio che sconvolsero l'opinione pubblica, furono l'0ggetto del ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo.  "Raccogliemmo diversi casi per presentare il ricorso – spiega Corsini – uno fu il famoso caso Cannavacciuolo, la famiglia di allevatori di Acerra i cui protagonisti sono poi morti di morte tumorale". Le immagini delle pecore nate con tre teste nel gregge della famiglia Cannavacciuolo fecero il giro del mondo. Alessandro, l'erede di quella famiglia, ha dedicato la sua vita a combattere nella terra dei fuochi contro l'inquinamento. "Poi c'erano le mamme – prosegue l'avvocato – mamme che avevano visto morire i propri figli, che avevano vissuto un calvario che però non le aveva abbattute, trasformarono il lutto in determinazione per lottare ancora di più".

Ma i casi, citati poi nella recente sentenza della Cedu erano tantissimi. "Potrei parlarti di mio padre – ci dice Valentina Centonze, anche lei una degli avvocati che presentò il ricorso – noi venivamo da Napoli, ma ci trasferimmo ad Acerra perché mio padre voleva farmi crescere in un ambiente salubre. C'erano degli sversamenti dati alle fiamme vicino casa mia e così cominciai a presentare le istanze per farli rimuovere. Mio padre alla fine è morto di cancro". Storie che divennero tristemente comuni nella terra dei fuochi, con alcuni Comuni che sempre di più finirono al centro delle cronache. Acerra, senza dubbio fu uno dei territori maggiormente discussi e sicuramente tra i più colpiti dall'inquinamento. Ma anche Giugliano e Caivano, in provincia di Napoli e Casal di Principe e Marcianise, in quella di Caserta.

La sentenza: "Bonificare con urgenza"

Dopo 11 anni è dunque arrivata una sentenza storica, che impone alle autorità italiane una serie di azioni da compiere. Innanzitutto viene rilevata una confusione amministrativa sulle competenze, tra Stato, Regioni e Comuni, un caos dovuto anche alla riforma del titolo V della Costituzione che ha riassegnato le materie di competenza tra enti locali e Stato. In una vicenda così complessa e così economicamente dispendiosa, come la messa in sicurezza e/o la bonifica delle aree inquinate nella terra dei fuochi, stabilire chi deve fare cosa non può essere oggetto di contesa. Anche perché il risultato è che quasi sempre, alla fine non si agisce.

Ma non solo: "La sentenza obbliga alla caratterizzazione dei rifiuti, alla perimetrazione delle aree inquinate e alla bonifica con urgenza" sottolinea l'avvocata Centonze. "Sul piano normativo è stata rilevata l'inefficacia della fattispecie di reato ambientale, che non è risultato alla prova dei fatti idoneo ad arginare le condotte criminali, tanto è che ancora oggi assistiamo agli sversamenti abusivi" spiega Centonze. Oltre al dato tecnico ed agli obblighi indicati alle autorità italiane, la sentenza stabilisce anche una verità storica. "Il fatto che quei rifiuti potessero risultare un danno alla salute era una verità che veniva continuamente offuscate dalle dichiarazioni di chi diceva che avevamo problemi di stili di vita – dice l'avvocata – una ferita ancora aperta e dalla quale sgorga ancora sangue. Oggi possiamo dire che questa verità è consolidata, anzi la Corte dice che non c'era bisogno del nesso di causalità per poter intervenire, non c'era bisogno di studi scientifici, c'erano delle evidenze".

Già, c'erano evidenze tali da non rendere necessari altri studi scientifici o ricercare il nesso di causalità per poter intervenire. Eppure per anni le autorità italiane, nazionali e locali, hanno speso milioni di euro in ulteriori studi, mentre l'unica cosa da fare, che ancora oggi viene ribadita nella sentenza della Cedu, ovvero la perimetrazione dei siti a rischio e l'avvio delle procedure di bonifica, non è stato ancora fatto.

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La nomina del commissario straordinario: "E' l'antitesi di quello che dice la Cedu"

Negli ultimi anni alcune bonifiche sono state fatte, ad onore del vero. E' il caso dei lavori nella zona di Giugliano, con le discariche Resit 1 e Resit 2 e quella di San Giuseppiello, così come altri interventi sono stati comunque compiuti tra le due province di Napoli e Caserta. Quello che però è mancato è stata una visione di insieme, che tenesse dentro un perimetro definito, con una scala di priorità ed un budget di finanziamento adeguato. Al tempo stesso il contrasto al fenomeno dei roghi ha portato a dei risultati, grazie anche all'attività delle Prefetture e del coordinamento interforze tra le forze di polizia sul territorio.

Una diminuzione anche sensibile del numero dei roghi, che però non ha portato alla scomparsa del fenomeno. Soprattutto l'impressione è stata che si agisce in maniera disarticolata, con le Prefetture a fare azione di contrasto ai roghi, e enti locali e governo nazionale impegnati sulle bonifiche con una bussola poco chiara, con pochi soldi e spesso con competenze non focalizzate. Ora la presidente del consiglio Giorgia Meloni, ha deciso di nominare un commissario straordinario per la terra dei fuochi, dopo la sentenza della Cedu, si tratta del generale Giuseppe Vadalà. "Sorprende la nomina di un commissario straordinario – spiega l'avvocato Centonze – perché è l'antitesi di quello che dice la sentenza della Cedu. La sentenza contesta gli interventi singoli, individuali, atomistici e temporanei che sono stati adottati fino ad ora, e richiede invece di intervenire in maniera globale e strutturale sull'ordinamento. Ed è l'antitesi anche del meccanismo di partecipazione". Infatti la scelta di un commissario straordinario è il ricorso ai poteri speciali, quindi al restringimento degli spazi di confronto ed alla semplificazione delle procedure.

La sentenza della Corte europea però richiama tutt'altro: "La Cedu richiede la valorizzazione della partecipazione della società civile, addirittura affida alla società civile il monitoraggio sull'esecuzione delle azioni che vengono richieste. Tutte queste cose dovrebbero essere normate e sistematizzate".

La nomina del commissario va in tutt'altra direzione. D'altronde anche l'assetto normativo negli ultimi anni ha preso  direzioni abbastanza anomale. Come rivelato dall'ex Ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, in una intervista a Fanpage.it,fu lui a istituire una direzione dedicata alle bonifiche al Ministero che prima non c'era, ed ha stabilire i finanziamenti per intervenire sulla terra dei fuochi. Successivamente i governi di Draghi e Meloni hanno letteralmente cancellato la direzione amministrativa del Ministero dedicata alle bonifiche. Quindi ora come si dovrebbe agire? Con fondi, appalti e poteri tutti nelle mani del commissario straordinario? E' triste dirlo, ma è esattamente quello che avvenne con il disastroso commissariato straordinario all'emergenza rifiuti in Campania, finito nel 2011 dopo oltre 20 anni di disastri, infiltrazioni e spreco di denaro pubblico.

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