Svelato il mistero del cervello “vetrificato” ritrovato negli Scavi di Ercolano
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Il mistero di in cervello "vetrificato", ritrovato già qualche anno fa, all'interno degli scavi di Ercolano, è stato finalmente svelato dagli scienziati: era stato investito da una nube di calore di oltre 500 gradi durante l'eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo che seppellì la città per quasi duemila anni, provocando una reazione chimica che ha portato al fenomeno della "vetrificazione" del cervello della vittima, una delle tante della terribile eruzione vesuviana.
Qualche dato era già certo da qualche anno: si trattava di un ragazzo di circa 20 anni, disteso quando l'ondata di calore sprigionata dall'eruzione lo travolse all'interno del Collegio degli Augustali. Forse il custode dell'edificio religioso dove riuniva il collegio sacerdotale dei Sodales Augustales, uno dei meglio conservati ad Ercolano. Ma quel cervello "vetrificato" aveva sempre suscitato curiosità ed interesse.
“Un tessuto biologico particolare come il cervello, ricco di acqua, ha bisogno di condizioni davvero particolari per trasformarsi in vetro” spiega Guido Giordano, geologo di Roma Tre, in un articolo sulla rivista Scientific Reports coordinato dai vulcanologi dell’università di Roma Tre, dagli antropologi dell’università Federico II di Napoli e dal Cnr, "Prima un riscaldamento molto rapido che superi i 510 gradi. Poi un altrettanto repentino raffreddamento, che non deve superare l’arco dei pochi minuti e deve mantenere il corpo esposto all’aria. Se fossero stati sepolti dalla cenere, infatti, i resti del ragazzo sarebbero rimasti caldi anche per giorni”.
Di fatto, la nube torrida che lo ha investito, ha distrutto una parte del tessuto cerebrale che però non è evaporata a causa del cranio osseo: il successivo raffreddamento improvviso, tipico di queste nubi torride, ha fatto sì che la materia si trasformasse in vetro. A questo, hanno contribuito diversi altri fattori: in primis, la posizione del ragazzo, distesa su un letto (non si sa se già morto, magari di paura, oppure svenuto), in un ambiente chiuso, e dunque "protetto" in parte dall'enorme esposizione alla nube torrida, che comunque penetrò ma non "direttamente", contrariamente a quanto accaduto tutti gli altri che cercarono la salvezza scappando verso il porto e che furono travolti in strada o sulla spiaggia. Un processo che è stato replicato in laboratorio e che aiuta a comprendere anche meglio l'esatta dinamica dell'eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo e un'altra sua "caratteristica" distruttiva, come appunto la nube torrida che si riversò sulla città.