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Studenti universitari arrestati col figlio del boss: estorsione da 30mila euro al bar della movida

Ad Acerra due studenti universitari sono stati arrestati insieme al figlio di un boss di camorra locale: avrebbero tentato un’estorsione a un noto bar.
A cura di Nico Falco
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Uno studente universitario iscritto a Ingegneria, un suo collega che invece frequenta Economia e il figlio di un boss locale. Una banda stranamente assortita, che avrebbe tentato una estorsione da 30mila euro ad un bar di Acerra, con richiesta minatoria, rimbalzata tra gli indagati su WhatsApp per le correzioni, e indicazioni su dove lasciare i soldi. Storia che potrebbe essere il canovaccio di qualche film scanzonato ma che è invece reale ed è stata ricostruita con le indagini condotte dal pm anticamorra Giuseppe Visone della Procura di Napoli e ha portato all'arresto per i tre, firmato dal gip Teresa Valentino.

Arrestati figlio del boss e due studenti universitari

I fermi erano scattati il 26 luglio, la misura cautelare è stata firmata dal gip il 28 luglio. I due studenti, entrambi appartenenti a famiglia della borghesia vesuviana, hanno sostanzialmente ammesso una parte delle accuse; per loro sono stati disposti i domiciliari. I tre, secondo la ricostruzione della Procura, avevano preso di mira un bar di Acerra, molto frequentato anche la sera e soprattutto da giovani, studenti universitari compresi. E avevano recapitato una lettera minatoria, con un messaggio che rimanda chiaramente agli ambienti della malavita organizzata: quei 30mila euro sarebbero andati alle famiglie dei carcerati, che non possono essere lasciate sole, specie ad agosto.

La sorpresa è arrivata quando i poliziotti hanno identificato il terzetto di ventenni, tutti incensurati: insieme a Domenico Tortora, figlio di Pasquale e nipote omonimo del ras detto ‘o Stagnaro, c'erano i coetanei Raffaele Esposito e Vincenzo Flagiello, studenti universitari che con la criminalità non avevano avuto mai alcun legame.

La lettera minatoria trovata nelle chat

La svolta delle indagini, ricostruisce il quotidiano Il Mattino, è arrivata con l'esame delle chat tra gli indagati e acquisite dagli inquirenti. Il bar Terronir, nei pressi di piazza Castello, era stato preso di mira per la sua popolarità, che si traduce in un grosso giro di denaro. Tanto da far pensare ai tre, evidentemente, che 30mila euro sarebbero stati una somma "congrua" da chiedere.

Dopo gli arresti, riporta ancora il quotidiano, Flagiello ha confessato la tentata estorsione al gip e ha chiamato in causa sia il collega universitario sia il giovane figlio del boss. Il piano sarebbe stato organizzato proprio a un tavolino del bar, durante una serata alla quale i ragazzi avrebbero preso parte per farsi un'idea degli incassi. Il messaggio sarebbe stato scritto da Tortora e inviato agli altri due per le correzioni e per la stampa. La lettera minatoria era stata ritrovata dai gestori del bar il 25 luglio. Oltre alla richiesta di denaro conteneva le indicazioni, scritte e con la mappa stampata da Google Maps: i soldi andavano lasciati in un borsone nero in un bidone verde di via Nobile.

Gli imprenditori avevano allertato la Polizia ed era scattata la trappola. A prendere i soldi (falsi) lasciati nel bidone, ripreso da telecamere nascoste, si era poi presentato Raffaele Esposito. Lo stesso giovane, davanti agli inquirenti, ha poi ammesso il ritiro e ha spiegato che l'intenzione era di dividere il denaro in tre, di essere a conoscenza delle parentele del figlio del boss e di essere consapevole che il richiamo alle famiglie dei detenuti avrebbe potuto integrare il metodo mafioso. L'unico che ha negato le accuse è stato Tortora, ma la sua versione è stata ritenuta inverosimile.

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