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Spaccio nel carcere di Secondigliano, i baby boss ricostruivano i clan grazie ai poliziotti corrotti

I boss detenuti nel carcere di Secondigliano riuscivano a spacciare droga e a ricompattare il clan grazie ad alcuni agenti della Penitenziaria corrotti.
A cura di Nico Falco
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Carcere di Secondigliano, alta sicurezza. È il carcere dei camorristi, dove finiscono per lo più boss, baby boss e affiliati, destinati all'isolamento o al 41bis. Eppure, anche dietro le sbarre, i vertici dei clan napoletani riuscivano a ricompattare i gruppi criminali e a vendere droga, facendo affidamento su alcuni agenti della Polizia Penitenziaria corrotti. Il sistema Secondigliano emerge dall'ordinanza da 28 misure cautelari eseguita oggi dai carabinieri, che offre uno spaccato sulla riorganizzazione della camorra anche dietro le sbarre grazie alla complicità di alcuni poliziotti che, in cambio di denaro o di beni, si sarebbero prestati a portare oggetti proibiti.

Quello che viene fuori dalle carte è che il sistema era già rodato, già funzionante. Potevano cambiare i detenuti, ma i nuovi arrivati subito sapevano a chi rivolgersi per far entrare droga o per ottenere trasferimenti in modo che gli affiliati fossero nelle stesse stanze. A volte c'erano veri tariffari, con prezzi differenti per quantità o per tipo di oggetto proibito, e cambiare cella poteva costare fino a 4mila euro. Tra i destinatari delle misure molti elementi di vertice della camorra napoletana: da Antonio Napoletano, ‘o Nannone, giovane sicario della Paranza dei Bimbi, ad Alfredo Vigilia Junior, figlio del capoclan di Soccavo, e Michele Elia, figlio del boss del Pallonetto di Santa Lucia.

Spaccio nel carcere di Secondigliano, misure per boss e poliziotti

Complessivamente sono state emesse 28 misure cautelari: in carcere per 22 detenuti, per Luisa Di Fusco (compagna di Angelo Marasco e ritenuta promotrice dei traffici), e per uno degli agenti della Penitenziaria indagati (Salvatore Mavilla); le altre 4 misure, ai domiciliari, riguardano gli altri 3 poliziotti ritenuti corrotti (Francesco Gigante, Mario Fabozzi e Giuseppe Tucci) e Patrizia D'Angelo (compagna di Enzo Topo e ritenuta anche nei coinvolta nei traffici).

Promotore dei traffici di droga nel carcere di Secondigliano viene indicato Alfredo Vigilia Junior, figlio di Alfredo Vigilia ‘o Niro, boss di Soccavo, che avrebbe gestito il business insieme al cugino, Pasquale Vigilia, e al guardaspalle Cristian Monaco, col supporto di Angelo Marasco, detto Giovannone, e Salvatore Scotti, indicato come il suo braccio destro e anche lui legato al clan Vigilia.

Tra gli arrestati c'è Antonio Napoletano, detto ‘o Nannone, soprannome ereditato dal padre, ritenuto ai vertici e killer del clan Sibillo; il giovane, classe '97, è detenuto tra l'altro per l'omicidio di Giovanni Galletta, meccanico, ucciso per una vendetta trasversale nella faida che vide contrapposta la "Paranza dei bambini" con i Buonerba. Tra i destinatari delle misure, ancora, Eugenio D'Atri, boss del Vesuviano specializzato nel traffico di droga; detenuto per duplice omicidio, aveva qualche tempo fa manifestato l'intenzione di collaborare con la giustizia ma era stato ritenuto poco credibile; Antonio Autore, legato ai De Micco di Ponticelli, i "Bodo", e ferito in un agguato anni fa insieme al capoclan Marco De Micco.

Indicato come coinvolto (e raggiunto da misura cautelare in carcere) anche Salvatore Basile, detto Cozzeca Nera, ras emergente del Rione Traiano, arrestato dopo un feroce tentativo di scissione dal clan Puccinelli-Petrone. A lui, conosciuto e indicato per lo più col cognome e indicato per caratteristiche somatiche e per i tatuaggi, sarebbero stati passati fumo e telefonini all'interno di buste calate con paniere dalle finestre delle celle. Avrebbe venduto la droga insieme al compagno di cella, Michele Elia, figlio di Antonio, boss del Pallonetto di Santa Lucia. Basile avrebbe custodito la droga per conto di Giuseppe Mazziotti e di Lino, quest'ultimo identificato in Pasquale Vigilia, dell'omonimo clan di Soccavo.

Destinatario di misura, ancora, Fabio Crocella, alias "Veronesi", esponente di spicco del clan Mazzarella e finito in manette anche per l'omicidio di un albanese che sarebbe stato ucciso perché si era rifiutato di versare una tangente sulla prostituzione alla cosca, viene indicato come "pienamente coinvolto nel traffico di fumo". Tra gli indagati e destinatari di misura anche Eduardo Fabricini, per gli investigatori come legato ai clan di Secondigliano e Scampia. Dell'area est, invece, Salvatore Ottaiano, alias Meme, ritenuto legato alla criminalità organizzata di Cercola, e Raffaele Valda, finito in manette con l'accusa di essere tra i promotori di un nuovo gruppo nato da una scissione dei Cuccaro-Aprea di Barra.

Tra gli indagati dell'inchiesta che ha portato alle misure cautelari c'è Ciro Contini (per il quale è stata rigettata la misura cautelare), nipote del capoclan Eduardo: secondo il racconto di altri detenuti avrebbe organizzato il traffico di hashish in carcere, grazie all'agente Gigante, che conosceva e col quale avrebbe già organizzato un traffico di orologi; nei suoi confronti non è stata però emessa misura cautelare in quanto, si precisa nell'ordinanza, seppur ritenute attendibili le dichiarazioni di Niglio, mancano i riscontri investigativi necessari per i gravi indizi di colpevolezza.

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