Un anno dopo la sentenza di condanna per concorso esterno, quasi venti dopo l’inizio di questa storia, quattordici dopo la seconda e più grave emergenza rifiuti in Campania, la più devastante per il territorio della provincia di Caserta, la più redditizia per la camorra. È di questa mattina, 30 giugno, l’esecuzione del sequestro dei beni (immobili, società, conti bancari), intestati a Giuseppe Carandente Tartaglia, imprenditore dei rifiuti legato prima ai Nuvoletta di Marano e ai Mallardo di Giugliano, poi ai casalesi del gruppo Zagaria. Nato con il movimento terra all’ombra era poi diventato socio del clan dei Casalesi, una sorta di broker a mezza strada tra la camorra che spara e le pubbliche amministrazioni, intermediario e corruttore, affarista spregiudicato e imprenditore dalla vista lunga.
L'inchiesta della Procura partita 10 anni fa
Era stato il pm Antonello Ardituro, che aveva seguito l’inchiesta una decina di anni fa, a rappresentare l’accusa in Tribunale, ottenendone la condanna a sette anni di reclusione; e poi le indagini patrimoniali, affidate alla Dia di Napoli, che hanno portato al sequestro disposto dalla sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Gabriella Casella, giudici Francesco Balato e Marinella Graziano). Tra i beni proposti per la confisca, case in provincia di Napoli (Marano e Mugnano) Caserta (Castelvolturno), Sperlonga; proprietà formalmente intestate a mogli e figli di Giuseppe Caarandente Tartaglia. Un patrimonio il cui valore è stato stimato in 4 milioni di euro. La procedura di prevenzione proseguirà a settembre con la trattazione nel merito.
Giuseppe Carandente Tartaglia è stato il protagonista, imputato unico, del filone sammaritano del processo per le devastazione ambientali provocate dalla discarica di Chiaiano, svolto presso la III sezione del Tribunale (presidente Francesco Rugarli) e concluso con la sentenza di primo grado a luglio dello scorso anno.
Come detto, era stato il pm Antonello Ardituro, che aveva seguito l’inchiesta una decina di anni fa, a riprendere il filo spezzato e sostenere l’accusa in quello che è il processo-madre sull’accaparramento mafioso dell’emergenza rifiuti del 2008, sulla trattativa tra Pasquale Zagaria e il committente pubblico, sull’inquinamento radicale e irreversibile del comparto dei rifiuti, con l’ingresso “legale” della camorra nel grande affare. Processo rivitalizzato grazie alla testimonianza, fatta rivivere post-mortem, di Michelangelo Sposito, non utilizzata ,invece, contro Pasquale Zagaria, imputato nel processo principale, e per questo assolto.
Gli affari sulla Cava di Chiaiano e l'alta velocità
Il Tribunale, riammettendo quella testimonianza che aveva portato all’incriminazione (e alla condanna in primo grado) del fratello del capoclan di Casapesenna, aveva valorizzato anche il senso del racconto di Sposito: il suo tentativo di truffare Fibe-Fisia, vendendo a prezzo maggiorato la cava di Chiaiano che si era accaparrato per proporla quale sito per la discarica, l’ingresso nell’affare di Pasquale Zagaria, poco dopo la sua scarcerazione dopo i tre anni di detenzione per l’analogo “affare Alta velocità”, la maxi-tangente che fu costretto a pagare alla camorra e che gli costò la sostanziale estromissione dalla società di fatto.
Comprimari, i manager di Fibe-Fisia. Durante le indagini, l’11 giugno 2012, Fibe aveva consegnato alla Dda di Napoli un elenco dettagliato dei contratti /ordini intercorsi con la Edilcar Srl di Carandente Tartaglia Giuseppe, la Edilcar s.a.s. di Franco Carandente Tartaglia e C. e il consorzio C.G.T.E di cui Carandente Tartaglia Giuseppe era presidente del consiglio di amministrazione. Gli atti contrattuali acquisiti comprendono ben 63 rapporti giuridici distinti per prestazioni d'opera in trasporti-movimento terra, fornitura materiali e noleggio mezzi. Una collaborazione consolidata e stabile, di natura formalmente legale.
Chi è l'imprenditore legato al Clan dei Casalesi
Giuseppe Carandente Tartaglia era il dominus. Originariamente legato ai capi dei clan Nuvoletta di Marano, Mallardo di Giugliano e, successivamente, anche ai Polverino, era poi diventato socio di fatto di Michele (all’epoca latitante) e Pasquale Zagaria: suo il know-how nello strategico settore della gestione del ciclo legale ed illegale dei rifiuti; sue le imprese che metteva a disposizione dei fratelli di Casapesenna; suoi i rapporti con i manager di Impregilo e Fibe-Fisia che gli garantivano informazioni (conosceva in anticipo la localizzazione delle discariche e dei siti di stoccaggio da realizzare) e contratti. Gli Zagaria mettevano a disposizione soldi e, soprattutto, capacità di intimidazione e di controllo del territorio lì dove erano prevedibili manifestazioni di protesta degli abitanti. Un sodalizio continuato anche dopo l’arresto di Pasquale Zagaria, a giugno del 2007, quando, dopo un anno di latitanza, si costituì in carcere. Un anno dopo, saranno le società riconducibili al suo clan ad accaparrarsi, in sostanziale regime di monopolio e in accordo con il consorzio di Carandente Tartaglia, il trasporto dei rifiuti ammassati nelle strade di Napoli (e progressivamente dell'intera provincia di Caserta) nelle piazzole di stoccaggio realizzate in Terra di Lavoro anche dal socio Carandente. Chiudendo così il cerchio infernale.